Costretti al precariato, milioni di hacker conquisteranno posizioni dominanti nell'economia degli uomini. Volenti o nolenti, ne salveranno il pianeta.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 07-06-2006]
Leggi la terza parte dell'articolo: l'esempio del software libero (e della musica)
Parte quarta: economia ed ecologia degli hacker
Oggi, lo slogan che si sente dire in giro è "fatevi imprenditori di voi stessi", "aprite la partita Iva", come se lavoro flessibile significasse indipendenza. Lo scandalo dei contratti attuali è che spesso mascherano del tutto situazioni di dipendenza oggettiva, ma impegnano il lavoratore in termini di rischio e, spesso, anche di capitale.
Ma affidare lavori all'esterno si rivela un fattore di debolezza, per questi giganti. Un piccolo imprenditore, anche micro-imprenditore, un precario, insomma, che sviluppa una sua tecnologia ed è in grado di dialogare direttamente con il cliente, senza l'intermediazione della casa produttrice, è a tutti gli effetti un hacker.
Riuscire a replicare il meccanismo del software libero per i beni materiali, significherebbe la fine della corporation, e l'inizio di un capitalismo dal volto umano. Come nel modello di Smith, in questo schema la grande industria fornisce merce banale, al minimo prezzo.
L'artigiano è necessario per personalizzare ed elaborare il prodotto, e la sua trasformazione è l'unica merce con un valore degno di questo nome. Il lavoro umano costa, il lavoro delle macchine, fatto in scala industriale, e ammortizzabile con cifre irrisorie, non costa. O costa molto poco.
Sembra un ritorno alla teoria dei distretti industriali, in cui una miriade di piccole aziende, come quelle del nord est italiano, hanno creato un sistema competitivo con le corporation straniere. Possono essere considerate hacker ante litteram? "Temo di no," sostiene Andrea Di Stefano, direttore della rivista Valori, "non bastano le piccole dimensioni per essere realmente "disruptive", come dovrebbero essere gli hacker"-
"Più che alle tre C degli hacker," prosegue Di Stefano, "la cultura dei distretti industriali si è affidata alla C di "contoterzismo": produrre a minor costo, per conto delle multinazionali, senza rispettare le regole. Questa è stata la rivoluzione del nostro Nordest. E per questo non ha retto alla globalizzazione".
In effetti, questo sistema non ha rispettato il requisito fondamentale dell'hacking, la condivisione. Ma non è stato il solo problema. Il contributo di queste micro-aziende è stato sostanzialmente sfruttare le sacche di inefficienza delle multinazionali ed eludere i controlli fiscali e di tutela dei lavoratori. Il tutto, solo per produrre beni intermedi, cioè destinati alle stesse multinazionali che, a parole, si diceva di combattere.
Essere hacker significa qualcosa in più. Non delinquenti, ma sicuramente elemento di rottura, mantenendo saldo il controllo sulle tre C, e sfruttando il proprio vantaggio competitivo rivolgendosi all'utente finale, senza limitarsi alla produzione organizzata di beni intermedi.
La richiesta di tecnologie libere, di macchine semplici, sarà sempre maggiore, in un mondo sempre più ostaggio delle multinazionali, che vanno imponendo prodotti via via più costosi, inquinanti e meno durevoli. Questo è il valore ecologista dell'hacker.
L'hacker in sé non nasce ambientalista, in genere non vi ha niente a che fare. Ma è la stortura provocata dal modello economico della crescita obbligatoria a trasformarlo nel più formidabile protettore dell'ambiente. La produzione hacker artigianale privilegia invariabilmente la semplicità sulla complessità, la robustezza sulle prestazioni, la riparazione sulla sostituzione.
In una società-hacker, non è possibile che sostituire un oggetto costi meno che ripararlo o ricaricarlo. Questa è una conseguenza di una volontà deliberata, non dell'evoluzione tecnologica. Un'economia decentrata, locale, in cui l'acquisto di macchine dall'esterno è ridotta al minimo, in cui la riparazione, l'adattamento, l'uso anticonvenzionale delle macchine la fanno da padrone (una società-hacker) è ecologicamente sostenibile.
Non è facile: occorre grande competenza per la gestione e la personalizzazione delle macchine. E occorrono leggi che favoriscano questa impostazione.
Leggi la quinta parte dell'articolo: la politica e la Cina
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