Intervista a Lanfranco Caminiti, responsabile di Carta.org, il sito legato al settimanale Carta, punto di riferimento di una vasta area di realtà associative, centri culturali, centri sociali radicalmente critici nei confronti della Globalizzazione e del mercato.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 24-02-2002]
In Italia c'è una vasta area politica e culturale, le cui dimensioni sono emerse con chiarezza nella manifestazione dei Cobas a Roma, che ha visto presenti a Roma 150.000 persone, che non si identifica né nella maggioranza di centrodestra al governo né nel centrosinistra all'opposizione. Un'area di dissenso culturale, sociale e politica che, per ragioni di sintesi e perché ormai è identificata così nel linguaggio corrente, potremmo definire No-Global. Quest'area ha scelto il Web come uno dei suoi luoghi principali di comunicazione e aggregazione: il Web come samidzat (le copie scritte a macchina dai dissidenti sovietici) o come il ciclostile degli anni '70, mezzi di comunicazione giovani e fuori dai circuiti controllati. Di questo ho voluto parlare con Lanfranco Caminiti, responsabile del sito Carta, che dell'area No-Global è un punto di riferimento importante e qualificato.
Lanfranco, perché Carta.org? Che cosa vi proponete? Quale riscontro avete avuto finora?
Carta.org nasce due anni fa quando il mensile entra nella fase della sua prima stabilità. L'idea di abbinare il mensile con uno strumento più puntuale nella registrazione quotidiana di eventi spinse a costruire il sito. Il proposito era di diventare uno dei luoghi di una informazione indipendente, non solo nei momenti più significativi, ma anche giorno per giorno, raccontando quanto restava "fuori" dall'informazione ufficiale ed esprimendo un proprio punto di vista sulle cose che erano sotto gli occhi di tutti: in breve dire che "un 'altra informazione è possibile". Così dividemmo concettualmente il sito in due grandi aree, una "sociale", fatta di registrazione dell'associazionismo territoriale, di agenda degli appuntamenti di ogni comune, quartiere, condominio, e l'altra informativa, fatta di un'agenzia, di articoli teorici, di sensibilizzazione su "campagne", di cantieri che venivano varati nelle occasioni internazionali (Praga, Nizza, Porto Alegre 1, Genova, Porto Alegre 2) con notizie in presa diretta e immediatamente pubblicate. Tutto questo basandoci per un verso sulla redazione stabile e per un altro aprendo a tutte le forme di collaborazione possibile (così, di volta in volta, con sherwood , amisnet, digipresse, luxa, con unimondo) dove esistevano competenze (la radio, la televisione) che noi non possedevamo. Finora i riscontri parlano di una progressiva attenzione verso il sito, in particolare in occasione di grandi eventi, con punte di contatti assolutamente fuori del comune, anche considerando le nostre debolissime forze. Il problema che ci poniamo oggi è come "stabilizzare", nel giorno per giorno, questa area di attenzione che potenzialmente va oltre gli attivisti, i militanti, i "lettori esperti": e credo sia un problema che riguardi non solo noi.
Considero la rete "un bene pubblico", il cui carattere va difeso ma anche accresciuto. Posso parlare con cognizione di causa solo delle forme di attivismo informativo in rete: alle altre iniziative (di mobilitazione, di denuncia, di azione come i netstrike) sono solo uno che aderisce. Ma io considero l'attività informativa come una forma di attivismo, proprio perché in rete fare informazione significa immediatamente fare associazione, costruire relazioni. Se si osserva il panorama dell'informazione indipendente in Rete (ne scrivo sul prossimo numero di Carta, in edicola dal 21 al 27 Febbraio) e lo si confronta solo con un anno fa, balzano subito agli occhi due evidenze immediate: l'enorme moltiplicazione di iniziative editoriali e la loro diffusione. A volte però questa diffusione assume l'aspetto del circoscritto, del ridotto. Benchè esistano nel web, e funzionino, diversi network di informazione, io non credo che la strada assoluta sia quella della centralizzazione, delle fusioni, delle federazioni e neppure della rete. E non credo molto nel web-log e nelle tecnologie push: sono utili ma a volte questa intenzione di "spazio pubblico" si traduce in una bacheca di messaggi. Il passaggio di adesso lo vedo tutto nella capacità di stabilizzare la produzione di informazioni e il proprio pubblico di riferimento. Non ho alcuna riverenza verso gli albi professionali e il mestiere di giornalista: ma un mestiere di scrivere ci deve essere, rinnovato, reinventato, ma ci deve essere. Il dilettantismo, nel senso forte della passione, del volontariato non deve essere sostituito ma irrobustito da pratiche professionali. Da questo punto di vista io credo prioritaria e necessaria una vera e propria "campagna di formazione" al mestiere di scrivere. Soprattutto in rete. Io credo che sia forse possibile dire che i siti di informazione indipendente sono ormai considerati affidabili e buoni fornitori di informazione in momenti particolari, ma non sono ancora considerati interlocutori credibili nell'esprimere punti di vista e notizie sulla complessità e la minuziosità della cronaca quotidiana del mondo. La sfida è questa.
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