Secondo Stallman, il sistema di Google non rispetta pienamente la libertà degli utenti. "La versione 3 è praticamente software proprietario".
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 22-09-2011]
Quando si parla di Android, in molti sono convinti di parlare anche di software libero in contrapposizione a quello proprietario, come iOS e Windows Phone.
In realtà, le cose stanno diversamente e Richard Stallman, creatore del progetto GNU, ha ritenuto opportuno mettere i puntini sulle i con un articolo sul britannico The Guardian.
Il ragionamento di Stallman è semplicemente logico: Android è formato da diverse componenti. Alcune sono open source e free software; altre no.
Prendiamo il kernel: si tratta di una versione modificata di Linux, rilasciata secondo la licenza GNU GPL v2; pertanto lo si può definire sia open source (perché i sorgenti sono disponibili) sia free software (garantisce le quattro libertà fondamentali indicate da Stallman stesso e dalla Free Software Foundation).
Il resto del codice scritto da Google, però, non segue la licenza GNU GPL, ma la Apache 2.0, che Stallman definisce «debole», poiché non implementa il concetto di copyleft, ovvero l'obbligo di rilasciare tutte le modifiche e le estensioni apportate come software libero.
Inoltre, a voler essere precisi, anche la versione di Linux inclusa in Android non è tutta software libero, perché contiene alcune parti binarie: tipicamente, il firmware dei vari dispositivi che compongono uno smartphone e sono indispensabili al suo funzionamento, e per i quali spesso non esiste un equivalente libero.
Certo esistono soluzioni alternative - come Replicant, una versione di Android che usa solo free software - ma il prezzo da pagare è una notevole difficoltà nella compatibilità con tutti gli smartphone, per via dei molti firmware esistenti.
Ancora peggiore è la condizione di Android 3, per il quale Google ha deciso di non rilasciare il codice sorgente (a parte quello della porzione Linux, per il quale è obbligata dalla licenza GNU GPL): in questo caso è come mettersi nelle mani di chi scrive codice proprietario, e la differenza con iOS o Windows Phone diventa davvero minima.
È lo stesso Stallman a spiegare che, da questo punto di vista, Android non rispetta la libertà dell'utente più di quanto facciano i concorrenti. Anzi, il firmware "chiuso" e le librerie non libere integrate espongono gli utenti agli stessi rischi: dopotutto, un produttore può sempre aggiornare il proprio firmware per fargli compiere qualcosa di non previsto nella versione rilasciata originariamente, persino qualcosa che violi la libertà dell'utente (come utilizzare il telefono per registrare le conversazioni), e nessuno ne saprebbe nulla.
È a questo punto che si comincia a intuire perché tutto questo discorso di Stallman possa avere importanza anche per l'utente comune, quello che generalmente pensa «A me basta che funzioni».
Senza il software libero non è possibile essere certi di avere il controllo sui propri dispositivi, né si può sapere se qualcuno decide di dare di matto e utilizzarli per fini illeciti tramite un semplice aggiornamento Over The Air installato con cieca fiducia; se invece il codice sorgente è disponibile qualcuno, prima o poi (e l'esperienza di GNU/Linux porta a dire che generalmente accade prima), noterà un'eventuale problema.
È un discorso per certi versi analogo a quello, forse per i più maggiormente comprensibile e da tempo portato avanti, sull'opportunità di usare i formati liberi anziché quelli proprietari per i propri documenti: soltanto i primi mi garantiscono di poter sempre accedere ai propri dati anche in un futuro lontano. Un formato proprietario, invece, smette di essere leggibile quando l'azienda che l'ha creato smette di produrre software in grado di aprirlo.
Ecco perché Richard Stallman si accalora tanto nel promuovere il free software: non è una battaglia di principio, ma tesa a difendere a la libertà di tutti gli utenti, anche di quelli che di queste questioni si disinteressano.
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