Nutrirsi di un cibo in grado di nascondersi così bene svilupperebbe l'intelligenza.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 02-07-2014]
Dagli USA, patria delle ricerche più o meno strampalate, arriva la spiegazione di come i nostri antenati siano riusciti a sviluppare l'intelligenza: mangiando insetti.
A sostenerlo è un gruppo di ricercatori della Washington University di Saint Louis dopo uno studio durato cinque anni sulle scimmie cappuccine (o cebi).
Attenzione, però: il merito dello sviluppo dell'intelligenza non sarebbe in qualche proprietà segreta nascosta in una dieta a base di insetti, ma nella sfida che la caccia a questi minuscoli e sfuggenti esserini costituirebbe.
L'autrice principale dello studio, la dottoressa Amanda Melin, spieta: «L'importanza delle sfide associate con la ricerca di cibo nel dare forma all'evoluzione del cervello e delle facoltà cognitive nei primati, compresi gli umani è stata da tempo riconosciuta».
«Il nostro lavoro» - prosegue la dottoressa - «suggerisce che scavare alla ricerca di insetti quando il cibo scarseggia possa aver contribuito all'evoluzione delle facoltà cognitive degli ominidi e aver posto le basi per un utilizzo avanzato degli strumenti».
Le scimmie cappuccine, di norma, preferiscono mangiare i frutti maturi e solo saltuariamente si cibano di insetti; le varietà che vivono in ambienti dove stagionalmente questo tipo di cibo viene a mancare, però, sono costrette a trovare delle alternative, la migliore delle quali è costituita dagli insetti.
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Scovare gli insetti però non è semplice e così le scimmie devono ingegnarsi, scortecciando alberi, scavando nel terreno e via di seguito. Tutta questa attività, secondo gli studiosi americani, avrebbe portato l'evoluzione a selezionare scimmie con cervelli più sviluppati e meglio attrezzati per sopravvivere durante il periodo di scarsità dei frutti.
A conferma di questa teoria i ricercatori portano la differenza di comportamento tra le più robuste scimmie cappuccine del genere Sapajus e quelle più gracili del genere Cebus.
Sebbene anche le seconde, tipiche delle foreste pluviali dove i frutti si trovano in abbondanza tutto l'anno, siano in grado di eseguire dei "trucchetti" come aprire i frutti colpendo gli alberi con essi, soltanto le prime, tipiche di un ambiente in cui i frutti appaiono con variazioni stagionali, utilizzano strumenti più "avanzati" (come sassi per aprire frutti e lumache) e in modo "creativo".
I ricercatori ritengono che la differenziazione tra i Cebus e i Sapajus, riscontrabile geneticamente, sia stata favorita dalla necessità di utilizzare gli insetti come cibo "di emergenza".
Quanto tutto ciò sia applicabile all'evoluzione degli uomini non è chiarissimo, anche perché è difficile ricostruire le eventuali variazioni stagionali nella dieta a partire dai fossili.
Si sa che almeno un tipo di ominidi sudafricano aveva una dieta che variava stagionalmente, e che alcuni nostri antenati si nutrivano, tra le altre cose, di termiti, radici di piante e tuberi (anche questi ultimi sono un cibo che va "cercato", quindi avrebbero da questo punto di vista un valore analogo a quello degli insetti).
I ricercatori statunitensi sono comunque convinti che proprio una dieta che richiedeva di nutrirsi di un cibo difficile da trovare sia stato un «fattore chiave nello sviluppo delle abilità unicamente umane».
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