Il Congresso approva unanime lo Space Act, che garantisce ai cittadini USA i diritti di sfruttamento. In barba agli accordi internazionali.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 18-11-2015]
Sin dal 1967 il Trattato sullo spazio extra-atmosferico impedisce agli Stati firmatari di rivendicare le risorse eventualmente scoperte nello spazio: nessun Paese può insomma considerare proprio un pezzo di territorio lunare o marziano e iniziare a sfruttarlo.
Gli Stati Uniti, che a suo tempo firmarono il trattato, ora hanno cambiato idea. Non hanno formalmente disconosciuto l'accordo ma il Congresso, con un mirabile esempio di unità tra maggioranza e opposizione, ha dato una prima approvazione allo Space Act 2015, all'interno del quale si trovano affermazioni completamente opposto a quelle del documento del 1967.
Tale legge, che prima di arrivare sulla scrivania del presidente degli USA per la firma definitiva deve ancora ricevere un'ulteriore approvazione dalla Camera dei Rappresentanti, garantisce diritti minerari nonché sulle «risorse spaziali» e su quelle presenti sugli asteroidi ai privati cittadini statunitensi che riescano a raggiungerle.
In altre parole, in base allo Space Act, se Elon Musk volesse impiantare una miniera su Marte, qualora riuscisse a farvi arrivare una squadra grazie agli sforzi della sua SpaceX, avrebbe pronta una legge che gli garantirebbe i diritti di sfruttamento.
Lo scenario appena descritto è esclusivamente teorico, ma soltanto per il momento. La Nasa sta lavorando per mettere a punto nuovi sistemi volti a studiare le vene di minerali presenti su Marte: quindi a separarci da quella possibilità sono soltanto il tempo e la fattibilità tecnica.
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L'approvazione preliminare di questa legge è già stata festeggiata dalla Planetary Resources, azienda finanziata anche da Google e dal regista James Cameron, come «il diritto dei cittadini USA di possedere le risorse presenti sugli asteroidi» e come autrice di un grande impulso all'economia, ora su scala interplanetaria.
Ovviamente, il fatto che lo Space Act (che riguarda non soltanto lo sfruttamento di minerali, ma anche di eventuale acqua) contraddica il Trattato del 1967 pone un problema interessante dal punto di vista del diritto internazionale. Anche perché il Senato s'è premurato di aggiungere che i diritti sulle risorse spaziali sono garantiti soltanto a quei cittadini in regola con la legge «compresi gli obblighi internazionali degli Stati Uniti» e che gli USA in quanto nazione non pretendono di avanzar alcun diritto «su nessun corpo celeste», creando quindi una situazione complicata.
Ma è soprattutto sconsolante vedere come, mentre si programmano le prime missioni che porteranno l'uomo su Marte, ci sia già un governo pronto a mettere le mani sulle risorse naturali che si dovessero scoprire, sia pure attraverso l'iniziativa privata e non direttamente, nel tentativo di salvare la faccia.
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