Nella sua relazione annuale l'Authority invoca la divisione amministrativa tra Rete e Mercato, invece dello scorporo, ma si tratta di un provvedimento inutile.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-07-2006]
Il presidente dell'Authority per le Comunicazioni Corrado Calabrò, nella sua relazione annuale, dimostra di aver recepito come il problema più scottante delle Tlc italiane del momento sia la ricorrente questione dell'opportunità dello scorporo della gestione della Rete di Telecom Italia dalle attività commerciali di vendita di prodotti e servizi della stessa Telecom.
Il contenzioso giudiziario tra Fastweb e Telecom Italia, a proposito del passaggio illecito di dati riservati dei clienti transitati a Fastweb per favorire il "win back", cioè il ritorno a Telecom, così come la causa intentata da Vodafone, sempre contro Telecom, per motivi analoghi di concorrenza sul mobile, utilizzando i dati di traffico in partenza dal fisso, il ricorso dei concorrenti che ha bloccato la partenza di Unico (il telefonino fisso-mobile), i ricorsi contro la non replicabilità dell'offerta 20 Mega di Telecom, sono tutte vicende, in questi ultimi mesi del 2006, che sottolineano la difficoltà dei rapporti tra l'ex monopolista (e operatore dominante) e i suoi concorrenti.
Come rimedio associazioni di gestori e di utenti, come l'associazione dei provider o la battagliera associazione Antidigitaldivide, e tanti esperti propongono lo scorporo della Rete di Telecom Italia e la sua separazione societaria dalle attività commerciali, come si è già fatto con successo nel Regno Unito.
Si tratta di una proposta certamente inutile, poiché si tratta di una regola già prevista, in parte inattuata e comunque inefficace, visto l'alto tasso di conflittualità tra gli attori del settore. Rimane piuttosto il fatto della problematicità di realizzare uno scorporo di queste attività, oggi strettamente legate.
Telecom Italia ha un debito pregresso di trenta miliardi di euro (nonostante numerose e ormai ulteriormente impossibili dismissioni del patrimonio immobiliari di attività all'estero e considerate non strategiche); i suoi ricavi per la parte di telefonia fissa arrivano quasi unicamente dalla rivendita di servizi e traffico ai propri concorrenti. Insomma l'operatore dominante "campa" solo grazie ai proventi della sua divisione wholesale.
Già oggi gli investimenti necessari per l'ammodernamento e la manutenzione della Rete segnano il passo; gli organici sono tra i più ridotti tra le Telco europee, perché già oggi l'assistenza clienti commerciale e tecnica è svolta in gran parte da imprese in outsourcing.
In un eventuale scorporo, come si spalmerebbe il debito? Come la prenderebbero gli investitori, soprattutto quelli stranieri? C'è il rischio che la Rete strategica e redditizia vada agli stranieri (in grado di pagarla) e il mercato scivoli verso la bancarotta; tutto questo avverrebbe in una situazione come quella italiana, precaria dal pusto di vista finanziario, industriale, politico-istituzionale.
Anche in una logica non protezionista, sarebbe impossibile costringere un imprenditore straniero a comprarsi la Rete, fargli investire miliardi di euro per l'ammodernamento e poi imporgli tariffe calmierate. Un'eventuale "rinazionalizzazione" della Rete Telecom - a parte il fatto che la sostiene solo Rifondazione Comunista e il Pdci, e potrebbero anche avere ragione - con quali soldi potrebbe essere pagata da uno Stato che lotta ogni giorno con il deficit e i metodi impopolari per ridurlo come le tasse e i tagli?
Ci si accorge adesso dell'errore compiuto nella creazione di Telecom Italia, quando l'allora Sip assorbì la rete dello Stato di proprietà dell'Asst, pagandola molto meno del suo valore, e poi permettendo a Colaninno un'Opa tutta basata sull'indebitamento.
Paradossalmente lo "spezzatino telefonico", durato fino agli anni '90 e tanto criticato per la frantumazione degli investimenti e della gestione della Rete, avrebbe potuto vedere la creazione, come sugggerivano sindacati e sinistre, di un'Entel, cioè di una società pubblica di gestione della Rete telefonica divisa dalla Sip privata, che avrebbe venduto il servizio al cliente finale ma prevalse la potentissima lobby della Stet e dell'Iri, allora guidato da Prodi. Così pure una Telecom Italia molto meno indebitata (anzi quasi per niente), come era quella fino all'avvento di Colaninno, avrebbe permesso anche lo scorporo.
Bisognerebbe quindi riconoscere, oggi, anche se a malincuore, che uno scorporo della Rete è impossibile; sarebbero da favorire e incentivare in tutti i modi possibili, con un'Unione europea che non veda aiuti di stato dovunque, le aziende come Fastweb, Wind, Tiscali e H3G, che investono per dotarsi di una propria rete alternativa a Telecom Italia, anche integrandola e condividendo parti e strutture; si dovrebbe continuare con obblighi e "servitù" all'ex monopolista, vincolandolo a investire nella Rete e a ridurre il digital divide.
Con buona pace dei liberisti a oltranza, più che di concorrenza l'Italia delle Tlc ha bisogno di dirigismo che pieghi le arroganze e le pigrizie degli operatori vecchi e nuovi, Telecom Italia e gli altri, e li spinga a investire, a migliorare, a essere più efficienti.
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