Si fa presto a dire pirata

Facile, per i Signori del Software, definire pirata chi ha l'ardire di copiare un programma. Ma quale potrebbe essere il giusto appellativo per chi costringe i clienti a pagare una licenza anche per il software che non possono usare e per i computer che non hanno?



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 18-05-2002]

Azzardati a duplicare un dischetto e sei bollato come losco individuo che vive di rapina e fa della violenza la propria legge: si fa presto, a dire pirata.

Ma se un produttore di software richiedesse agli onesti acquirenti dei suoi programmi di pagare una quota, insomma un pezzetto di licenza, anche per i computer sui quali non potranno mai utilizzarli, o addirittura per i computer che non possiedono, come lo si potrebbe definire?

Qui entra in scena Microsoft: cominciamo dal Microsoft School Agreement 3.0, una forma di licenza offerta alle istituzioni scolastiche. Per poterla sottoscrivere è necessario che il prodotto del numero tra i pacchetti software acquistati e il numero di computer presenti nella scuola sia pari o superiore a 300. L'Agreement offre sconti speciali qualora siano ordinate particolari combinazioni di pacchetti, ma il punto della questione è: bisogna includere nell'Agreement (e quindi pagare la licenza per) tutti i computer dell'istituzione scolastica, compresi quelli su cui non si intende installare i programmi licenziati e compresi pure quelli su cui essi non possono proprio essere installati, come i Macintosh e le macchine Unix (queste ultime contano metà, per gentile concessione). Ora, se è vero che alcuni pacchetti, come Office, sono rilasciati anche per la piattaforma Macintosh, per altri, come Windows stesso, non ha neppure senso parlare di "altra piattaforma". In due parole, ecco il trucco con cui Microsoft riuscirà a far pagare la licenza di Windows anche agli utenti Linux: per lo meno (e per adesso) in ambito accademico.

I docenti possono utilizzare a casa propria i programmi coperti dall'Agreement, su computer di loro proprietà, ma solo per finalità professionali. Dobbiamo concludere che per scrivere all'amministratore di condominio devono utilizzare un'altra copia di Office, anch'essa installata e licenziata sulla loro macchina?

Ma al peggio non c'è limite: veniamo alla seconda offerta dedicata al settore dell'istruzione, in particolare agli istituti universitari ed affini. Con il Campus Agreement 3.0, che per la maggior parte degli aspetti è assai simile allo School Agreement, non si contano i computer, ma le persone che lavorano nell'istituto scolastico o in singoli dipartimenti dello stesso. Ovviamente, includendo nel totale anche i dipendenti che il computer non lo usano affatto o lo usano in condivisione con i colleghi. Generosamente, è data la possibilità di escludere dal conto i dipendenti la cui mansione non ha nulla a che fare con i computer, come gli addetti alle cucine. E buon appetito.

Entrambi gli Agreement hanno la durata di un anno, terminato il quale è necessario pagare nuovamente. E' così confermata, tra l'altro, la volontà di Microsoft di "spingere" il modello del software in affitto, già evidenziata dal programma di evoluzione delle licenze Select per grandi utenti; tuttavia, l'impopolarità guadagnata dall'Enterprise Agreement al momento del lancio, lo scorso ottobre, ne ha suggerito la sospensione fino al prossimo primo agosto: data strategica, perché il periodo delle ferie aiuterà a distrarre l'attenzione del pubblico dalla faccenda.

Si badi bene che, nonostante tali forme di licenza possano risultare in alcuni casi più convenienti rispetto all'acquisizione delle licenze singole per ogni programma, l'impianto concettuale in sè appare, comunque, assolutamente fallace. Se vale il principio che chi vende software può chiedere il pagamento di una quota indipendentemente dal fatto che il suo prodotto sia o meno installato (o addirittura installabile) su un computer, il concetto stesso di licenza si confonderà pericolosamente con quello di tassa.

D'altra parte, è palese il tentativo di scoraggiare l'uso di software non-Microsoft: se si paga la licenza anche per i computer sui quali non si installano prodotti "made in Redmond", tanto vale, alla fine, utilizzarli anche su quelli. E' una tattica perfettamente complementare, ad esempio, all'integrazione di applicazioni (come il browser) nel sistema operativo e agli accordi, conclusi con i produttori di computer, per ottenere la preinstallazione di Windows su tutte le macchine offerte al pubblico. Una opportunità di controllo del mercato alla quale Microsoft tiene in modo particolare: tanto da diffondere informazioni volte a insinuare il dubbio che la permanenza sulla macchina della copia di Windows preinstallata sia obbligatoria per legge. Ma, in realtà, il solo vincolo il cui mancato rispetto potrebbe dare luogo a conseguenze legali è il divieto di installare il software su macchine diverse da quella "originale", ancorché sia stato da questa rimosso. The Register pubblica alcuni interessanti articoli che raccontano come, recentemente, Microsoft abbia ammorbidito, ma solo in parte, le proprie dichiarazioni al riguardo, generando tuttavia ambiguità di interpretazione che possono indurre i clienti a seguire comunque le indicazioni più restrittive, per timore di incorrere in sanzioni.

E non basta ancora. Recita la licenza di Windows XP Professional (traduzione dall'inglese): "Con l'esclusione di quanto consentito da NetMeeting, Remote Assistance e Remote Desktop, descritti di seguito, [...] non è consentito utilizzare, visualizzare o eseguire il Prodotto [Windows XP Pro, ndr] o l'interfaccia utente del Prodotto su un'altra macchina, a meno che questa possieda una ulteriore licenza per il Prodotto.". Cio significa, in pratica, che è espressamente vietato utilizzare strumenti di gestione remota diversi da quelli approvati dalla stessa Microsoft, salvo che ciò avvenga attraverso altre macchine con Windows XP Professional a bordo. Così, sono tagliati fuori, ad esempio, noti prodotti quali VNC, che consente di controllare la console di un computer Windows da uno Linux o viceversa, e PcAnywhere, uno dei più diffusi della categoria. Quest'ultimo è un programma commerciale, e i suoi produttori potrebbero essere interessati a pagare una royalty a Microsoft per vederlo incluso tra i software "D.O.C."; il primo, invece, è gratuito ed open source: tanto basta perché sia considerato un nemico da combattere con ogni mezzo.

Non tutti gli utenti sono soliti servirsi di tali strumenti, perciò la limitazione potrebbe sembrare di poco conto, ma non è affatto così: cosa accadrebbe se si diffondesse la consuetudine di specificare nelle licenze quali programmi è consentito o vietato usare insieme al software che esse coprono? Sarebbe molto facile, a suon di divieti, obbligare di fatto gli utenti ad acquistare prodotti ben determinati: gli unici a trarne vantaggio sarebbero, ancora una volta, i Signori del Software. E non bisogna dimenticare che le violazioni della licenza comportano automaticamente l'accusa di pirateria, con conseguenze penali rilevanti.

Già, si fa davvero presto a dire pirata.

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