Tradita la legge Biagi?

Agenzie per il lavoro a caccia di dati personali



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 02-08-2014]

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Agenzie per il lavoro a caccia di dati personali

Il Decreto Legislativo di cui abbiamo parlato dà attuazione alla cosiddetta legge Biagi, liberamente ispirata al Libro Bianco di cui Marco Biagi stesso parlò alla Consulta per i problemi sociali e del lavoro della CEI.

Tale legge ha introdotto per la prima volta il passaggio dal monopolio pubblico dell'intermediazione di manodopera a una progressiva apertura a nuovi soggetti pubblici e privati.

Nel tempo, tuttavia, le cose non sono sembrate andare proprio secondo l'intento di chi, come Biagi, aveva pensato la riforma.

Navigando in Rete tra le centinaia di migliaia di posizioni disponibili e pubblicate dalle varie agenzie, ai meno distratti potrebbero saltare all'occhio cicliche ripetizioni di offerte, offerte sempre attive, offerte ai limiti dell'inverosimile.

A questo punto ci si potrebbe chiedere quale sia il motivo di tutto ciò; per avere una risposta basta considerare alcuni fatti.

Innanzitutto: come è calcolato il valore di un sito?

Un sito ha valore quando, in prima battuta, è visitato da molte persone; ciò implica una connessione diretta tra il numero di visite e i ricavi generati della pubblicità che lo stesso propone. In secondo luogo, il sito ha valore quando il tempo medio di permanenza sullo stesso è elevato.

Questi due elementi sono quelli in base ai quali spesso viene stimato il valore complessivo di un sito; tuttavia, nel contesto delle attività di una agenzia per il lavoro, non sono di certo sufficienti. Ciò che dà valore a questo tipo di siti è infatti un altro tipo di informazione, molto più delicata.

Come riportato comunemente nelle sezioni privacy e policy dei siti di ogni agenzia, vi è sempre una raccolta di informazioni personali nel momento in cui l'utente utilizza i servizi.

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Infatti l'agenzia per il lavoro raccoglie direttamente dagli utenti informazioni di vario tipo tra cui quelle relative ai contatti, ai CV e ai profili.

Essa inoltre raccoglie anche informazioni in modalità automatica, per esempio quelle relative all'utilizzo dei servizi stessi e all'interazione con le agenzie, i dati demografici e quelli che riguardano il computer o il dispositivo mobile utilizzato dell'utente, secondo una pratica peraltro diffusissima. Ed è proprio questo il nocciolo della questione.

La raccolta, l'analisi e l'eventuale cessione delle informazioni archiviate, unite al flusso di pubblicità che transita sul sito dell'agenzia, determinano una fetta importante del reddito prodotto dal sito stesso, una fetta che è tanto ingente da rendere minoritario il reddito ottenuto dalla prestazione dei servizi che in teoria costituiscono l'attività primaria dell'agenzia stessa.

Da tutto ciò si capisce perché diventi spesso irrilevante il contenuto delle posizioni offerte, mentre è rilevante la presenza dell'offerta in sé: essa genera valore perché porta acqua al mulino nelle forme sopra espresse (tutti i dati personali e i ricavi pubblicitari).

Questo meccanismo droga le reale bontà dell'attività svolta, in favore di altri e ben più profittevoli aspetti: è questo il motivo per cui sempre più spesso queste agenzie danno la possibilità di collegare i propri profili con i più comuni social network.

Acquisendo sempre più informazioni e organizzandole, esse creano un canale di redditività ben più ampio di quello prodotta dall'intermediazione: ciò comporta irreversibilmente una progressiva inefficienza del primario core business, ossia l'incontro tra la domanda e l'offerta nel mondo del lavoro.

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