La tassa giusta

Il Paese è alla frutta: nell'anno che inizia si prevede una crescita zero o quasi. Rilanciare lo sviluppo, con una tassa ad hoc, investendo in ricerca ed innovazione?



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 03-01-2003]

La proposta viene dal nuovo Segretario Generale della Cgil Guglielmo Epifani: una tassa di scopo (le risorse reperite devono essere spese solo per questo scopo) sui grandi redditi e sui grandi patrimoni, per raccogliere dieci miliardi di Euro, da investire in progetti di ricerca ed innovazione di prodotto, che coinvolgano imprese, centri di ricerca, distretti industriali.

Ricerca e innovazione potrebbero (o dovrebbero) essere la forza propulsiva di un Paese che è in forte crisi: il deficit pubblico non è sceso e si trasferisce dallo Stato ai livelli regionali e comunali che devono aumentare le tasse, (anche se il Governo centrale le riduce), ma non solo. Un terzo dei risparmi privati sono stati bruciati nei crolli borsistici che si sono susseguiti, il risparmio non è mai sceso ai termini attuali (in pratica non si riesce a mettere via niente). Infine il 2002 è stato un anno in cui il trend di acquisti e consumi - come da molto tempo non accadeva - ha dato segni negativi. Nel 2003 infine avremo una crescita del Pil al massimo per l'1-1,5%.

Non si tratta di fare le pulci al Governo attuale: aldilà di meriti e demeriti, la nostra crisi, che ci ha fatto sprofondare al 38° posto nella competitività tra i Paesi industrializzati nel 2002, purtroppo viene da lontano. E' una crisi industriale, innanzitutto: la Fiat che non ha più investito in nuovi modelli, l'elettronica e le Tlc che in Italia non esistono più a livello industriale, la fine dell'industria chimica.

In pratica la finanza e i suoi giochi speculativi hanno soppiantato l'industria, le ristrutturazioni che le industrie hanno vissuto sono servite solo ad innovare i processi di produzione per ridurre i costi, prevalentemente, tagliando i posti di lavoro. Non c'è stata innovazione di prodotto e la creatività si è espressa solo nella moda e nel design, troppo poco per un Paese che - limitato alle produzioni povere di valore aggiunto e mature - è stato superato in competitività da molti Paesi in via di sviluppo.

Ormai la flessibilità sul lavoro è tanta (forse troppa?), i salari hanno perso molto rispetto ai prezzi e il nostro Paese non potrà mai essere competitivo rispetto al Terzo Mondo sul costo del lavoro ma solo sui prodotti al top per valore aggiunto nell'high-tech: materiali, telecomunicazioni, informatica, biotecnologie. Investire nella ricerca e nell'innovazione - nell'Italia dove si sono dimessi per protesta i Rettori delle Università - diventa dunque un obbligo ma con quali soldi?

Potrà questa essere una strada percorribile per allontanare il Paese dalla crisi e fornirlo di una nuova competitività? Qualcuno potrebbe diffidare nelle operazioni guidate dallo Stato ed aver paura che i soldi raccolti con una tassa per la ricerca verrebbero sprecati in operazioni clientelari ed assistenziali o in corruzione ma anche l'alternativa tipo Usa di concedere fortissimi sgravi fiscali ai privati, imprese e fondazioni, che investono in ricerca deve avere un corrispettivo di ulteriori entrate nel bilancio dello Stato.

Tutti i sondaggi dicono che gli italiani sono diventati meno entusiasti del privato e della sua iniziativa, chiedono la presenza dello Stato: potrebbe essere quello del rilancio dell'investimento in ricerca ed innovazione, che vede l'Italia agli ultimissimi posti, il terreno ideale per la ripresa di iniziativa dello Stato.

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

Pier Luigi Tolardo

Commenti all'articolo (1)

Alvise
Che strano... Leggi tutto
4-1-2003 13:32

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