Il ransomware che minaccia di chiamare il Garante della Privacy se non si paga



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 17-12-2019]

ransomware garante privacy

Quando si cade vittima di un ransomware sono diverse le preoccupazioni che salgono alla mente: come farò a riavere i miei dati? Sarò obbligato a pagare? I criminali avranno una copia del contenuto del PC?

L'ultima di queste - la possibilità che gli autori del malware abbiano una copia dei dati - è legata agli abusi ulteriori che con quelle informazioni si potevano perpetrare, dal furto d'identità alla violazione dei conti bancari, per non parlare dell'imbarazzo di vedere i propri file personali in mani altrui.

Spesso questi timori sono sufficienti a convincere gli utenti domestici a cedere al ricatto; ma quando a essere prese di mira sono le aziende, il discorso cambia.

La diffusione in questi anni della minaccia dei ransowmare ha reso più attenti i reparti IT aziendali: da un lato essi hanno imparato a difendere meglio le proprie macchine, e dall'altro hanno capito che spesso non bisogna cedere alle minacce, specialmente se non ci sono prove della loro effettiva possibilità di realizzazione.

Bisogna infatti tenere presente che a volte il possesso dei dati cifrati è solo millantanto, contando sull'effetto psicologico che un'affermazione del genere può avere su chi riceve la richiesta di riscatto, ma non è reale.

Dal punto di vista dei criminali, tutto ciò si traduce nella necessità di trovare nuovi modi per convincere gli utenti a cedere e pagare, prima ancora di pensare se la minaccia sia concreta oppure no.

Gli autori del ransomware Sodinokibi sembrano aver trovato la paura ideale sulla quale fare leva per spronare gli utenti, soprattutto quelli aziendali, a pagare: agitare lo spettro del GDPR.

La direttiva europea sulla protezione dei dati personali prevede multe salate per chi non difende con le unghie e con i denti i dati che custodisce: le aziende devono quindi essere ben attrezzate per evitare che dei dati dei loro dipendenti, clienti e fornitori venga fatto scempio.

Partendo da qui, Sodinokibi formula la propria minaccia. Se non volete pagare noi - spiegano gli autori del ransomware - non c'è problema: divulgheremo i vostri dati e informeremo il Garante della Privacy che, scoprendo che vi siete lasciati rubare informazioni sensibili, provvederà a irrogarvi una multa 10 volte superiore alla cifra che vi chiediamo.

Anche qui l'effetto cui Sodinokibi punta è soprattutto psicologico: mandare nel panico i titolari della protezione dei dati e sperare che paghino in fretta, per evitare conseguenze più pesanti da parte delle autorità costituite.

Funziona questo metodo? Per il momento non ci sono statistiche a disposizione ma, considerato come le campagna di ransowmare continuino ad avere un certo successo - ossia qualcuno ci casca sempre - è probabile che la tattica riesca comunque ad avere un certo peso sulle vittime.

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© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenti all'articolo (3)

Se fossi un responsabile della sicurezza IT di un'azienda prima di una cosa del genere mi preoccuperei di garantire la sicurezza della mia rete e dei miei server che forse aiuta di più e non costa neppure tanto rispetto ad una perdita di dati o di giornate lavorative.
24-12-2019 11:25

{hiijh}
Probabilmente gli unici a pagare saranno quelli che sanno di avere qualcosa da nascondere Fossi il garante della privacy terrei monitorati i wallet associati al ransomware per capire da dove vengono i pagamenti e indagare le relative aziende
20-12-2019 19:36

{utente anonimo}
La domanda è: è uno spauracchio senza basi legali o la azienda si ritrova sul serio in una situazione dove è meglio pagare il malfattore?
18-12-2019 10:22

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