Il cielo è pieno di scheletri di robot (4)
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 03-02-2023]
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Il cielo è pieno di scheletri di robot
Nel 1980 il nanotecnologo statunitense Robert Freitas studiò in dettaglio [A Self-Reproducing Interstellar Probe. J. Br. Interplanet. Soc. 33: 251–264; Comparison of reproducing and nonreproducing starprobe strategies for galactic exploration, JBIS 33, 402-406] l’idea di lanciare una singola, immensa astronave-automa, capace di raggiungere un altro sistema solare vicino e di usare le materie prime trovate all’arrivo per fabbricare altre astronavi che hanno lo stesso, semplice mandato: raggiungere la stella più vicina e sfruttarne i pianeti per costruire altre astronavi, e così via, con una crescita esponenziale del numero di veicoli spaziali in circolazione.
Applicando su scala cosmica i princìpi degli automi cellulari di von Neumann, Freitas arrivò a una conclusione sorprendente: anche senza usare sistemi di propulsione presi dalla fantascienza e restando quindi ben al di sotto della velocità della luce, e dando a ciascuna astronave cinquecento anni per raggiungere la propria destinazione e costruire una copia di se stessa, sarebbe possibile visitare ognuno degli oltre cento miliardi di sistemi solari della nostra galassia nel giro di alcuni milioni di anni. Regole semplici e crescita esponenziale applicata per lunghi periodi hanno effetti decisamente difficili da immaginare.
Probabilmente state pensando che alcuni milioni di anni sono un periodo di tempo un pochino lungo per qualunque ambizione colonialista o di costruzione di imperi galattici. È vero su scala umana. Ma bisogna considerare che l’universo ha circa 13,7 miliardi di anni. Questo significa che qualunque civiltà tecnologica extraterrestre che fosse arrivata, nel lontano passato, a un livello tecnico tale da permetterle di costruire questi automi autoreplicanti interstellari avrebbe avuto tempo assolutamente più che sufficiente per farli arrivare fin nei più remoti angoli della galassia, e per farlo anche più di una volta.
Va ricordato, fra l’altro, che non è necessario che quella civiltà duri milioni di anni: deve solo costruire la flotta iniziale, che poi andrà avanti da sola a riprodursi e a colonizzare lo spazio stella dopo stella, in un gioco di Life inimmaginabilmente vasto, anche dopo che la civiltà che l’ha avviato si sarà estinta.
In altre parole, l’universo è talmente antico che se ci sono state civiltà tecnologiche prima di noi, hanno avuto tempo in abbondanza per disseminare il cosmo di loro emissari robotici, molti dei quali saranno arrivati alla fine della loro vita operativa e giacciono abbandonati su mondi lontani, in attesa di essere trovati da futuri esploratori. Ed è per questo che partendo da semplici regole d’informatica dettate settant’anni fa possiamo dire che il cielo probabilmente è pieno di scheletri di robot.
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