Note sul copyright - Parte III

Dove si cerca disperatamente di lanciare un salvagente per evitare il naufragio totale.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 21-04-2001]

Leggi la I parte

Leggi la II parte

In primo luogo, dovrebbe essere consentita la duplicazione del software se effettuata per uso personale, con ciò intendendo l'ambito esclusivo di attività a carattere privato, non finalizzate al lucro.

Del resto la stessa BSA ha dichiarato in diverse sedi di essere intenzionata a perseguire chi duplica software e rivende le copie, spesso spacciandole per originali, e di essere solo marginalmente interessata al fenomeno della duplicazione "privata" (salvo poi diffondere il BSA-pensiero tramite la campagna pubblicitaria di cui sopra).

La migliore arma contro la duplicazione abusiva è il contenimento dei prezzi: se fosse possibile acquistare software a prezzi davvero accessibili, l'interesse per la duplicazione (e ancor più per l'acquisto di copie contraffatte) tenderebbe rapidamente a decadere. Infatti, la possibilità di fruire di una garanzia, di ottenere aggiornamenti e di accedere a servizi post-vendita potrebbero indurre all'acquisto anche coloro per i quali la spesa è "a fondo perduto", cioè non destinata a generare ricavi.

Alla duplicazione per uso personale può essere equiparata la duplicazione per utilizzo da parte di enti ed organizzazioni senza finalità di lucro. Possono invece porsi limiti alla duplicazione finalizzata all'utilizzo in ambito aziendale o, comunque, professionale: in questi casi, infatti, il software è a tutti gli effetti uno strumento a supporto di attività che, almeno nelle intenzioni, sono fonte di reddito; esso è equiparabile ad un "fattore produttivo" come altri, soggetto ad analoghe regole di approvvigionamento.

Si noti che molti prodotti sono già offerti con questo tipo di licenza (ad esempio StarOffice, che Sun produce per diverse piattaforme).

Per quel che riguarda poi le pene previste dalla L. 248/2000, non si comprende perché una azione determinante un mancato introito al produttore (illecito ben diverso dal furto, che implica la sottrazione materiale di un bene al legittimo possessore) sia sottoposta a sanzioni penali (carcere e multa), anziché a sanzioni pecuniarie amministrative. Fermo restando quanto testè affermato circa l'ambito di punibilità della duplicazione, la sanzione penale dovrebbe essere applicata esclusivamente ai casi di "pirateria" (produzione e vendita di copie contraffatte), in ragione delle correlate implicazioni fiscali; il semplice utilizzo di software abusivamente copiato potrebbe dare luogo all'obbligo di risarcimento al produttore in misura del mancato introito e, nei casi più gravi (ad esempio: utilizzo di numerose copie in ambito aziendale), di pagamento di una sanzione pecuniaria.

Se il fine della severità delle sanzioni è la dissuasione, al riguardo si può osservare che, in generale, una elevata probabilità di subire la sanzione sembra più efficace dell'entità astratta della medesima: chi duplica software per utilizzarlo, ad esempio, sul pc di casa è consapevole del fatto che molto difficilmente subirà conseguenze per l'illecito commesso. In ogni caso, come già accennato, l'idea del carcere quale conseguenza della duplicazione di un gioco ha qualcosa di allucinante. Inoltre, come si può desumere da un confronto con altre tipologie di reato, l'inasprimento della pena è poco efficace, comunque, anche nei confronti del delinquente incallito.

Non ci sarebbe alcuna necessità di minacciare sfracelli, se la duplicazione abusiva fosse, in generale, percepita negativamente, come azione deprecabile da un punto di vista morale e sociale. A tale fine, più delle minacce, può risultare efficace una campagna di informazione chiara e corretta, caratterizzata da contenuti che immagino molto lontani da quelli propagandati nel famoso spot: ad esempio, l'impatto negativo sulla ricerca e sull'innovazione e, di conseguenza sull'occupazione, che potrebbe avere la duplicazione abusiva, riducendo gli introiti di chi produce e vende software.

Tuttavia, è universalmente noto che alcuni dei migliori software attualmente in circolazione sono gratuiti e sono stati sviluppati senza alcuna sponsorizzazione miliardaria da parte di multinazionali; ritengo inoltre oggettivamente difficile instillare senso di colpa in chi, duplicando abusivamente un programma, rischia di "impoverire" l'uomo più ricco del mondo.

Non va dimenticato, poi, che l'insieme di tutte le motivazioni tecniche e morali contrarie alla libera duplicazione del software non è altro che una facciata elegante costruita a difesa di forti interessi economici, ai quali si è ritenuto di fornire un appoggio legale, verosimilmente proprio perché quelle stesse motivazioni sono percepite deboli e insufficienti. Ad esse si contrappongono efficacemente i contenuti espressi dal movimento intellettuale che indica nella libera circolazione del sapere un importante mezzo di arricchimento per la Collettività intera: si tratta di un'idea forte, che supera di molte lunghezze l'aridità intrinseca nel puro calcolo individualista di convenienza economica e mette in discussione il concetto stesso di copyright. In ogni caso è auspicabile, con la debole speranza che ciò possa garantire un minimo di imparzialità e correttezza, che ogni campagna di informazione sull'argomento sia interamente ideata e gestita in ambito parlamentare e finanziata mediante la copertura finanziaria prevista dalla L. 248/2000 (costituzione di un fondo alimentato con il denaro riscosso a titolo di ammenda).

E poi, per favore, finiamola con i bollini: i programmi non sono banane. Risalgono a pochi anni fa le file di pensionati in coda agli sportelli delle USL per ritirare i bollini di ministeriale concezione, che avrebbero dato loro diritto, riconsegnandoli di volta in volta presso i medesimi sportelli, a prestazioni gratuite: per tornare all'esempio delle riviste di settore, sembra che in alcuni casi procedure burocratizzate e inefficienze varie abbiano provocato cospicui ritardi nella consegna dei bollini agli editori richiedenti, e che da ciò siano derivati ritardi e disguidi nella consegna degli stampati alle edicole, e che da ciò sia derivato un danno economico per gli editori medesimi, che si è aggiunto all'esborso necessario all'acquisto dei bollini stessi.

Ancora, è indispensabile che la legge preveda garanzie specifiche per l'acquirente, sotto forma di precisi vincoli ed obblighi per il produttore di software. In primo luogo, non dovrebbe essere consentita la vendita di software il cui contratto di licenza contenga clausole intese a limitare o, peggio, escludere la responsabilità del produttore in caso di malfunzionamenti imputabili a difetti ("bachi") dello stesso. La cosiddetta formula "as is", cioè "come è, è" è lecita per il freeware e, al limite, può essere considerata ammissibile per gli shareware da poche migliaia di lire. Un prodotto senza garanzie non si vende, si regala.

In più, deve essere vietata la vendita di software (ma anche di audiovisivi) su supporto protetto contro la duplicazione: l'acquirente deve sempre essere in grado di effettuare copie di back-up nel numero ritenuto necessario; e ciò anche nell'ipotesi in cui il produttore garantisca di sostituire a proprie spese supporti danneggiati o in qualunque modo deteriorati, in quanto tale pratica potrebbe non conciliarsi con le esigenze di tempestività dell'acquirente, il quale avrebbe comunque l'onere di contattare il fornitore, richiedere la sostituzione, attendere l'arrivo della copia, etc.

Deve essere vietato, in particolare, l'utilizzo di sistemi di protezione hardware, esterni al supporto del software (ad esempio: chiavi per la porta parallela), in quanto, in caso di guasto degli stessi, si ricadrebbe nel caso precedente, con la differenza che essi sono assai più difficili da duplicare rispetto ad un floppy disk o a un cd. Inoltre, la loro installazione può comportare problemi di configurazione hardware e non è del tutto certa l'assoluta assenza di conflitti tra chiavi hardware diverse applicate contemporaneamente al medesimo computer.

Per quel che riguarda il patch management, cioè la gestione dei moduli software rilasciati a correzione di problemi, l'acquirente deve avere il diritto di ricevere al proprio domicilio, tempestivamente, gratuitamente e senza necessità di richiederne l'invio, un nuovo supporto contenente sia la "patch", sia l'intero pacchetto software ogni qualvolta vengano rlasciate correzioni. Tale regola si giustifica con la considerazione che le correzioni si rendono necessarie per un fatto del quale il produttore è il solo responsabile (ad esempio: errori di programmazione) e l'acquirente ha diritto a fruire di un prodotto privo di difetti, senza sostenere alcun onere oltre il prezzo di acquisto. Del resto, l'acquirente di software si trova comunque in posizione di svantaggio rispetto al produttore, in quanto, solitamente, è assai difficile e oneroso dimostrare con certezza, al fine di ottenere il risarcimento di un eventuale danno subito, che problemi e malfunzionamenti riscontrati durante l'utilizzo di un programma derivino da difetti dello stesso e non da altre cause (ad esempio: difetti di altri programmi con esso interagenti o imperizia dell'utilizzatore).

Sono, questi ultimi, temi che esulano dal concetto di copyright in senso stretto, ma che evidenziano come le uniche garanzie esplicite in tema di software siano quelle previste a tutela dei produttori (unica eccezione la giurisprudenza: ad esempio, il Tribunale di Milano, con la sentenza del 25/10/1993, ha stabilito che l'utente ha sempre la possibilità di modificare un programma, "[...omissis...] quando si tratti di assicurare l'interoperatività con altri programmi."). E' evidente che le regole testè elencate, a prescindere dal sacrosanto principio della tutela dei diritti del consumatore, hanno in realtà il fine pratico di difendere gli interessi economici di chi paga per ottenere un bene o un servizio e si può lecitamente presumere che, se tale insieme di regole dovesse diventare legge, i Signori del Software si strapperebbero le vesti e dichiarerebbero lo stato di crisi del settore, minacciando gravi ricadute sull'occupazione e agitando tutti gli spettri a loro disposizione per recuperare i privilegi perduti.

Con ogni probabilità, tirare ostinatamente l'acqua al proprio mulino non serve a nessuno. Non dimentichiamo che ogni situazione deve essere valutata con realismo; qualsiasi discussione in tema di copyright rischia di risultare assolutamente sterile se non si tiene conto di un fattore di importanza fondamentale: la tecnologia.

Scambiarsi e condividere software, testi, musica e, in generale, qualsiasi cosa possa essere codificata in formato digitale, è oggi praticamente immediato, indipendentemente dalla distanza fisica che separa gli attori coinvolti. Anzi, è evidente che l'utilizzo di Internet come rete capillare di distribuzione genera uno scenario nuovo, nel quale le azioni degli individui possono, anche inconsapevolmente, avere effetti in molteplici ambiti legislativi e generare responsabilità oggettive.

Ad esempio: utilizzare lo spazio disco di un server per memorizzare software abusivamente duplicato può porre il gestore della macchina in una posizione scomoda, a seconda della legislazione vigente nella nazione in cui risiede il server stesso; ancora più indefinita è la posizione dei fornitori del servizio di trasporto (provider e gestori di reti) che, inconsapevolmente, forniscono gli strumenti che consentono di condividere copie illecite in ogni parte del mondo.

E' facile constatare che in questo campo (come del resto in molti altri) il diritto non è al passo con i tempi: il tentativo di estendere ad una realtà totalmente nuova concetti elaborati in un passato che può essere considerato remoto, proprio dal punto di vista del progresso tecnologico, si è rivelato goffo e fonte di incongruenze ed ambiguità. Ancora una volta occorre concretezza: demonizzare la tecnologia e tentare di ostacolarne l'evoluzione nel nome della sicurezza di uno status quo noto ed assestato è, come la storia ha dimostrato in più ambiti ed occasioni, pratica vana.

Un approccio di carattere cooperativo potrebbe dare ottimi risultati: in questo senso, uno spunto interessante viene dalla licenza ideata dallo GNU, organizzazione nata nel 1984 con l'obiettivo di creare un sistema operativo di tipo Unix, totalmente gratuito ed open source, che ha adottato, allo scopo, il kernel scritto da Linus Torvalds (il risultato è ormai una realtà consolidata e si chiama GNU/Linux...).

Detta licenza, ideata da Richard Stallman e battezzata GPL (General Public License), si apre con una dichiarazione indubbiamente forte: "Le licenze della maggior parte dei programmi hanno lo scopo di togliere all'utente la libertà di condividere e modificare il programma stesso. Viceversa, la Licenza Pubblica Generica GNU è intesa a garantire la libertà di condividere e modificare il software libero, al fine di assicurare che i programmi siano liberi per tutti i loro utenti.".

Tale enunciato sposta il fulcro della discussione dalle tematiche di carattere meramente economico alla consapevolezza che la condivisione delle conoscenze è importantissima ai fini dell'abbattimento di ogni forma di monopolio, non solo culturale, ma anche tecnologico.

Ciò non significa che la GPL imponga la gratuità del software: essa è stata infatti concepita con la finalità "[...omissis...] che ciascuno abbia la libertà di distribuire copie del software libero (e farsi pagare per questo, se vuole), che ciascuno riceva il codice sorgente o che lo possa ottenere se lo desidera, che ciascuno possa modificare il programma o usarne delle parti in nuovi programmi liberi e che ciascuno sappia di potere fare tutto ciò.".

La direzione nella quale ricercare la convergenza degli opposti interessi potrebbe essere proprio questa: infatti, "Quando si parla di software libero (free software), ci si riferisce alla libertà, non al prezzo. [...omissis...]".

Si tratta comunque di un punto di partenza, non di un traguardo. La GPL presenta infatti alcune ambiguità legate alla terminologia tecnica con cui è stata formulata (chi fosse interessato ai dettagli può leggerne la versione originale all'indirizzo http://www.gnu.org/copyleft/gpl.html o la traduzione italiana su http://www.prosa.it/philosophy/gpl.txt) ed è praticamente certo che i Signori del Software si mostreranno assai riluttanti ad accettare l'obbligo di distribuire i sorgenti dei prodotti venduti, nell'ottusa convinzione che mantenere il controllo esclusivo delle conoscenze legate al loro sviluppo consenta loro di ottenere duraturi vantaggi nei confronti della concorrenza. C'è da giurare che essi non esiteranno a rischiare il ridicolo, pur di non recedere dalle proprie attuali posizioni: recentemente, Jim Allchin, responsabile della divisione sistemi di Microsoft, ha definito Linux un pericolo per le aziende del settore e (udite! udite!) un ostacolo all'innovazione (http://www.byte.com/column/BYT20010314S0001).

Un tale atteggiamento induce alla riflessione, in particolare quando lo si accosti agli illuminanti episodi di disinformazione quotidiana, di cui si è detto, e di cui ancora *non* si è detto: è recente notizia la diffusione radiofonica di un nuovo spot BSA, che torna ad enfatizzare sulle conseguenze penali previste dalla legge per chi copia software.

A questo punto, è evidente l'assoluta necessità ed urgenza di nuovi interventi legislativi nel settore, con l'auspicio che siano guidati dalla fattiva volontà di correggere le incongruenze della normativa attuale, con particolare attenzione alla salvaguardia dell'equità.

E' pura utopia?

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