Mettere a disposizione file protetti da copyright non è reato, lo dice la Cassazione. Ma i fatti sono avvenuti prima della legge Urbani.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 21-01-2007]
Commentare le sentenze dalla Cassazione, dando a esse un'importanza del tutto sproporzionata, è da sempre un vezzo dei giornalisti italiani. Poche testate si astengono dallo spulciare le sentenze di ultimo grado, decontestualizzarle dagli accadimenti cui sono riferite, e dare loro valore di legge, sulla falsariga di quanto avviene in ordinamenti giuridici diversi dal nostro.
Abbiamo assistito a perle del tipo "violentare una donna che indossa i jeans stretti non è reato", con relativo strascico di interviste indignate a soloni della giurisprudenza, che ogni volta fingevano di ignorare la specificità della sentenza, estrapolando a fatica alcuni principi generali, puntualmente smentiti al verdetto successivo.
Grande interesse ha suscitato anche il pronunciamento del 9 gennaio, a opera della terza sezione penale della corte di Cassazione, che ha annullato la condanna a tre mesi e 10 giorni di reclusione inflitta dalla corte d'Appello di Torino a due giovani, rei di condivisione file su piattaforme peer to peer, ai sensi degli articoli 171 bis e 171 ter della legge sul diritto d'autore (n. 633/41).
"I giudici di Torino", dicono i colleghi della Cassazione, "hanno erroneamente attribuito all'imputato un'attività di duplicazione dei programmi e di opere dell'ingegno protette dal diritto d'autore, poiché la duplicazione in effetti avveniva a opera dei soggetti che si collegavano con il sito Ftp e da esso, in piena autonomia, prelevavano i file e nello stesso ne scaricavano altri. Doveva essere esclusa l'esistenza del fine di lucro da parte degli imputati in potendosi ravvisare una mera attività di scambio".
Tradotto dal legalese: il nodo della questione è sempre lo stesso, la finalità di lucro. I giudici più zelanti sono portati a considerare tale anche "il mancato pagamento di un Cd", e quindi è automatico che chi scarica commette reato. I magistrati dotati di più buonsenso, invece, lo ravvisano solo in caso di cessione onerosa del contenuto duplicato. In questo caso la messa a disposizione dei file in un sito Ftp non configura alcun lucro, poiché le attività sono state effettuate gratuitamente.
La Siae mastica amaro: "La sentenza lascia perplessi", dice il presidente Assumma, "perché si pone in contrasto con principi di diritto ormai acclarati dalla costante giurisprudenza". Tradotto, significa: "Non capisco come mai in Italia le major non riescano a far valere il loro peso come altrove".
La sentenza, comunque, si riferisce a un caso antecedente l'attuale normativa, quella che porta il nome dell'ex ministro Giuliano Urbani, che invece stabilisce la punibilità per lo scambio di file illegali, comunque esso avvenga.
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