Il dottor Marsi

Diario di un Invisibile. "Senta, dottore... Si muore di questa malattia? C'è cura?" "Non si muore direttamente, ma si può essere uccisi per il fatto di averla".



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 29-09-2011]

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Diario di un Invisibile

La stanza in cui entrai era piuttosto ampia, sul fondo una scrivana illuminata da una lampada a piantana a cui stava seduto il dottore. Di corporatura esile e dall'età apparentemente sui cinquanta anni, mostrava una faccia cordiale decorata simpaticamente da baffoni spioventi. Di fronte a sè aveva un computer portatile.
"La prego, si accomodi. Se non le dispiace avrei da finire una cosa, poi sarò da lei."
Si reimmerse nel suo lavoro.

Mi guardai intorno, vidi delle poltroncine dall'aspetto accogliente verso cui mi diressi notando nel frattempo, addossato a una parete, un lettino da psicoanalista. Le pareti erano piene di scaffali colmi di libri salvo che in un'area dov'erano appesi quelli che sembravano essere diplomi. Mi avvicinai per osservarli, sempre ignorato dal dottore assorto nel suo impegno, e vidi che erano lauree e attestati rilasciati a Giovanni Marsi; neurologia, psicologia, chirurgia e persino veterinaria. Mi chiesi come fosse possibile tanta Scienza e se almeno qualcuna non l'avesse comprata. La voce di Marsi mi riscosse dal pensiero.

"Le ho ottenute tutte regolarmente, non dubiti."
Mi girai verso di lui, mi guardava sorridendo ironicamente.
"Non si preoccupi, non le sto leggendo nella mente. Semplicemente ho prevenuto una domanda alla quale sono abituato."
A mia volta risposi con un sorriso di circostanza.
"Allora veniamo a noi. I nostri infermieri volontari sono riusciti trarla d'impaccio da una situazione che rischiava di farsi difficile senza adeguata preparazione."

Continuò il dottore:
"Veramente degli ottimi ragazzi, specie Luca mi è particolarmente affezionato da quando salvai il suo cane. Povera bestia, ricordo ancora com'era malridotto dopo essere stato investito da un'auto della Polizia Sanitaria. Ma non so ancora il suo nome, il suo di Lei intendo, il cane si chiama Hugo. Il mio, come ha visto, è Giovanni Marsi."

Risposi presentandomi.
"Mi chiamo Alberto. Alberto Federici."
"Bene Alberto" Riprese il dottore "Andrò subito al dunque, lei è vittima di una sindrome che sta colpendo molti individui di cui non conosciamo ragione e origine, nondimeno la sintomatologia per grandi linee comincia a esserci chiara. Ora le porrò delle domande per inquadrare il suo caso, la prego di rispondere con sincerità nel suo stesso interesse."

Mi fece cenno di sedermi nella poltrona di fronte alla sua scrivania. Mi sedetti in attesa di domande e (speravo) chiarimenti.
"Mi dica... negli ultimi tempi ha avuto come la sensazione che non la vedessero?"
"Sì, ma solo oggi. Prima non mi era mai successo, oggi per molti ero come invisibile e incorporeo."
Il dottore annuì.
"E ha avuto anche la sensazione di non vedere qualcuno che invece doveva esserci nella situazione che osservava?"

Mi tornò alla mente l'episodio dell'ufficio postale.
"Si anche questo, sempre solo oggi."
Mi fissò per un'attimo.
"Oggi? Solo oggi? Così repentinamente, senza episodi minori precedenti?"
"Si dottore, proprio così. E' successo tutto oggi."
"Uuuuuhmmmm. Piuttosto raro. E preoccupante direi."
Restò immerso nei suoi pensieri per diversi secondi.
"Lei sa cos'è una malattia sociale?" L'articolo continua qui sotto.

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"Per grandi linee penso di si. Una malattia sociale è una patologia che per diffusione e ripercussioni danneggia un'ampia collettività."
Marsi assentì alla mia descrizione.
"Già, più o meno è questo. E attualmente ci troviamo in un'emergenza sanitaria di vasta scala che le autorità vogliono nascondere nonostante la suà gravità per "diffusione e ripercussioni" usando le sue parole. E temo, amico mio, che lei sia stato colpito in maniera fulminante."

Le parole del dottore mi agghiacciarono. Malato! Ero malato di una malattia sconosciuta e presumibilmente pericolosa.
"Senta dottore ma si muore di questa malattia? C'è cura?"
Marsi sorrise.
"No, non si muore direttamente ma si può essere uccisi per il fatto di averla."
Su queste parole la sua faccia si fece serissima.

"E' una sindrome socialmente destabilizzante e diffondendosi potrebbe arrivare a sconvolgere completamente l'attuale modo di vivere."
Raccolse le idee in qualche istante di silenzio, poi continuò:
"Si presenta come una forma allucinatoria per cui degli individui non percepiscono la presenza di altri pur vedendo gli effetti che producono nell'ambiente; per questo l'attenzione della medicina si è rivolta in principio a chi non percepiva gli altri. In seguito e sorprendentemente, scoprimmo che era chi non veniva visto ad essere afflitto dalla patologia. In qualche modo questi interferivano con le capacità percettive dell'osservatore diventando nei fatti invisibili e incorporei. Naturalmente il pericolo massimo, per ovvie ragioni, è per chi non viene visto."

Annuii ripensando al rischio di essere investito che avevo corso poche ore prima.
"Non sappiamo in che modo sia possibile anche se ci sono supposizioni che ci portano a credere che i malati siano in grado di emettere un campo elettromagnetico a bassissima frequenza in grado d'interferire in modo estremamente selettiva sull'interpretazione delle percezioni di chi sta intorno che non sia malato a sua volta."
Fece un'espressione di perplessità.
"Infatti, tanto per complicare le cose, chi ha la sindrome non ne viene interessato salvo in rari casi nei quali il malato perde a sua volta la capacità di percepire una specifica categoria di persone..."
Tacque repentinamente, guardandomi fisso come ad attendere un mio commento.

Inghiottii la saliva che non avevo nella bocca secca, solo per riflesso condizionato, e mi schiarii la voce giusto per accertarmi di averla ancora.
"Credo di essere uno di quei casi rari."
Gli raccontai di getto quello che mi era successo nelle ore precedenti. E inevitabilmente gli porsi la domanda:
"Ma chi è che non posso vedere?"

Marsi ridacchiò.
"In altri tempi lo avrebbero considerato un dono degli dei ma oggi... non può vedere le persone inutili."
Sentii la mia faccia prendere un'espressione stupita e forse stupida.
"Cioè? Non capisco."

"Alberto, lei non è un bambino e sa benissimo che ci sono un'infinità di persone la cui esistenza è inutile. Esistono solo perché qualcuno li considera presenti nel suo universo personale, magari perché gli passa uno stipendio o gli serve per qualche ora di sesso. In realtà domani potrebbero benissimo essere scomparsi con tutta la memoria della loro esistenza e la Realtà riassorbirebbe i loro pochi atti ridistribuendoli in altre esistenze di maggiore magnetismo."

Era vero, in fondo la nostra vita era piena di cose di cui non sapevamo l'artefice e l'origine; uno valeva l'altro per il vivere quotidiano. A volte, per grandi cose c'era un grande Autore ma la quotidianità era fatta di cose impersonali senza una paternità definita. E ripensando all'episodio dell'ufficio postale probabilmente potevo dare un volto all'invisibile e cieco sportellista, cercando nella mia memoria i volti di quelli che avevo sempre considerato meno produttivi e dall'aria più seccata dal fatto di stare dove stavano.

Poi le domande si affollarono nella mia testa e una prevalse.
"Allora anch'io che sono invisibile sono inutile?"
Il dottore sorrise.
"No. Lei è certamente invisibile agli inutili ma esiste per quelli che hanno il suo stesso problema, salvo che lei non sia inutile veramente. Ma da quello che mi ha raccontato e dal fatto che Luca l'ha vista, presumo che lei non sia inutile... Mi perdoni, Alberto, le dispiace se ci diamo del tu, visto che dovremo lavorare insieme?"
"Si certo dottore... anzi, Giovanni, ma cosa intende... cioè, cosa intendi per lavorare insieme?"
"Per prima cosa ti sottoporremo a dei test non invasivi, per niente dolorosi durante un brevissimo ricovero in'unità attrezzata. Poi diciamo che ci sarà una specie di riabilitazione fisioterapica... un addrestramento al controllo della tua... particolarità. Accetti?"

Il dottor Giovanni Marsi era decisamente rassicurante ed accettai. Alzò la cornetta telefonica, compose un breve numero e disse:
"Alberto accetta di entrare in squadra, vieni a scortarlo."
Mi sorrise e dopo pochi secondi entrò Luca che mi condusse fuori dallo studio per inoltrarci in un labirinto di corridoi e scale, fino ad arrivare a un ambiente ospedaliero piccolo ma dall'aria estremamente efficiente.

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Veleno Romano

Commenti all'articolo (ultimi 5 di 55)

.gipas.
Complimenti,un bel racconto che mi ha sempre tenuto in attesa della pruntata successiva ed anche abbastanza al passo dei tempi.Chissà se poteremo ancora godere di un suo prossimo racconto,per adesso Grazie!Gipas.
9-1-2012 11:57

Un asino Leggi tutto
8-1-2012 11:06

Rispostine al volo Leggi tutto
8-1-2012 02:45

Bravo Veleno Informatico. passi per gli accenti sbagliati ma ti sei anche dimenticato la regola di un'asino ciao Piero
4-1-2012 10:34

Se .... magari ..... pare facile
30-12-2011 09:04

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