Volevo solo dormirle addosso

Dal libro è stato tratto l'omonimo film sul mondo del lavoro nella new economy italiana, nelle sale in questi giorni. Il motto aziendale: far credere alle persone di essere importanti e poi "segarle" senza pietà.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 18-11-2004]

"Volevo solo dormirle addosso" è un film vero sulle vere aziende italiane: un film perfetto, migliore anche del film francese sullo stesso argomento "Risorse Umane".

La frase attorno a cui gira tutto il film è "Io ti stimo"; il protagonista, giovane manager in carriera, la ripete alla nausea, persino alla mamma. E' la frase tipica di tutti i progetti di motivazione e "fidelizzazione" delle risorse umane, per farle sentire centrali. Per esempio, nel Gruppo Telecom Italia c'è il "Progetto Sono", in Vodafone si chiama "People Care"; nella fantomatica impresa del film invece c'è "People First".

Far credere alle persone di essere importanti e poi "segarle" senza pietà, come si dice spesso nel film. E' tutto vero: dalla contrattazione dei dipendenti sulla cifra da avere come incentivo alla fuoriuscita da un'azienda, che deve avvenire all'interno di un budget prefissato, ai dipendenti che contestano la cifra perché un anno prima al loro collega era stato dato molto di più, al vecchio dipendente che non si fida ad andare in pensione prima della fine dell'anno perché ha paura che cambino le regole, fino alla dipendente malata di cancro da sbattere fuori senza pietà.

Non manca la donna che ha avuto quattro maternità e rientra, perfettamente, nel target su cui tagliare. E' vero e realistico perfino nella preoccupazione che queste pressioni per mandare via le persone non turbino il clima aziendale e non provochino problemi con il sindacato.

Bellissima la metafora del "sesso senza amore", del volerle solo dormire addosso, che il manager pratica nei rapporti personali: un sesso meccanico e senza anima, come i rapporti falsamente amicali tra i dipendenti dell'azienda.

Ci sono poi degli stereotipi che rendono bene alcuni schemi sempre più presenti nella vita aziendale odierna: il manager francese spietato e glaciale, in rappresentanza di un potere multinazionale distante ma onnipotente; la manager cinese che dice con disprezzo al giovane "killer": "Voi italiani non accettate le sfide, non volete vincere l'avversario, volete mettervi d'accordo con lui".

Un'altra metafora della condizione umana dell'azienda postmoderna è quella delle battute tra un vecchio manager italiano dell'ufficio personale e la giovane manager cinese. Il manager italiano dice: "Pensa che un dirigente mi ha detto: tagliami lo stipendio ma non ridurmi l'ufficio", commentando che le dimensioni dell'ufficio sono uno status symbol. La cinese risponde: "Oggi il vero status symbol è l'ufficio invisibile", intendendo così il cellulare e il notebook che il protagonista si porta continuamente appresso, dal tavolo di lavoro al letto di casa, uniche vere compagnie di un uomo povero di affetti e autentici rapporti umani. Fantastiche anche le riunioni in cui si fa il punto sull'avanzamento del programma di "taglio delle teste".

Il film prende ispirazione da un romanzo di Massimo Lolli che vendette molto qualche anno fa; questo romanzo è ripreso anche in un capitolo di "Stress Economy", saggio sulla condizione umana e lavorativa nelle aziende postmoderne, scritto a due mani da Alessandro Gilioli e Renato Gilioli.

Anche lì si parla di un'azienda che apparentemente è tutta centrata sulla qualità della vita dei dipendenti, ma che non poi non esita a licenziarne un buon numero a partire da quelli più in difficoltà, come il dipendente maniaco del gioco del lotto e preso dai debiti.

Il film è del regista Eugenio Cappuccio ed è splendidamente interpretato dal giovane attore Giorgio Pasotti. Il vecchio capo del personale che il giovane manager sostituisce e che dice poche parole di augurio: "Non perdere tempo e fai il tuo target" (cioè i 25 lavoratori da tagliare da Ottobre a Novembre) è un piccolo cameo di Carlo Freccero, già alto dirigente Rai, che aveva interpretato sè stesso anche in un film di Piero Chiambretti.

Si può dire che il film colma un vuoto dell'attuale produzione del cinema italiano, in cui non esistono i Ken Loach e i Micheal Moore; anche il cinema degli intellettuali più attenti al politico e al sociale, il cinema dei Moretti e degli Scola, si attarda più sul privato e sui drammi umani e familiari che nella descrizione del mondo del lavoro italiano, dei drammi e delle vicende dei suoi uomini e delle sue donne.

Abbiamo intervistato Massimo Lolli, l'autore del libro da cui è stato tratto il film. Lolli è autore di un nuovo libro nello stesso filone "Io sono Tua" e attualmente, dopo essere stato direttore del personale di aziende come Nokia ed Ericsson, è manager delle human resources alla Marzotto.

ZN: Il cuore del suo romanzo "Volevo solo dormirle addosso", da cui è stato tratto l'omonimo film di successo, sembra la totale schizofrenia tra il progetto di motivazione e di "fidelizzazione" (parola abusatissima) delle risorse umane e le esigenze legate ai costi. Questi ultimi portano a tagliare senza pietà quelle risorse umane a cui si voleva far credere di essere utili, preziose, indispensabili alla stessa azienda. Ci sono aziende che investono milioni di euro in progetti così e nel frattempo preparano esternalizzazioni e mobilità. Quanto sono coscienti i dirigenti e i consulenti di questa contraddizione, quanto può reggere?

Massimo Lolli: "La contraddizione fra investimento in risorse umane e dismissione di risorse umane non può comporsi se la logica è la seguente:l'azienda A investe sulle risorse umane di A per sostenerne l'occupazione in A. In questo senso la contraddizione non è componibile e, specie nella cultura italiana, refrattaria al valore e alla pratica della trasparenza, si traduce in una incongruenza fra dichiarato ed effettivo. Nella cultura anglosassone la logica invece è: l'azienda A investe sulle risorse umane di A per sostenerne l'occupabilità nel mercato; qui la contraddizione si compone. Non so se questa logica possa reggere e per quanto tempo, ma almeno, così formulata, è chiara e trasparente".

ZN: In Italia dopo Bianciardi e Volponi (e prima ancora Svevo) non c'è più stata una "letteratura aziendale", cioè una letteratura legata all'ambiente della grande impresa e, soprattutto, a quello delle figure impiegatizie e dirigenziali. Per ricordare un film legato allo stesso modo, ad esempio, bisogna andare a "Impiegati" di Pupi Avati di vent'anni fa, all'inizio dello yuppismo. Perché non fiorisce questo genere letterario, a suo avviso? Ha dei modelli di riferimento?

Massimo Lolli: "A me pare che il tema del (post) lavoro stia emergendo nuovamente al cinema e in letteratura. Al cinema penso a Loach, a Comencini, a Cantet; in letteratura penso a Nata, Avoledo, Falco. Non ho modelli di riferimento perché mi definisco un illetterato e, quel che è peggio, un illetterato presuntuoso".

ZN: La percezione lucida e amara del mondo dell'impresa moderna, senza infingimenti e al di là di ogni retorica aziendalese, come ti permette di continuare a fare questo lavoro?

Massimo Lolli: "Non sono un manager che sogna di scrivere storie. Anzi, se non facessi il manager, non saprei che storie scrivere. Io credo che occorra ribaltare la domanda: proprio guardando in faccia l'ombra, il male, il rimosso che è fuori e dentro di noi, possiamo liberarcene e progredire. Io sono un riformista: il riformista rimane per migliorare, il rivoluzionario si allontana per distruggere e ricreare."

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Commenti all'articolo (ultimi 5 di 10)

{Guido}
Più reale del reale ... Leggi tutto
12-11-2006 23:40

Laura
fornitura film Leggi tutto
17-1-2005 15:24

Laura
Human Resources Leggi tutto
17-1-2005 15:22

Roberto
piccola correzione Leggi tutto
22-11-2004 11:26

Colangelo Giovanni
La cosa più triste è il lavoratore Leggi tutto
20-11-2004 18:44

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