Internet è un bene pubblico

Si vuole tentare, nello spazio di questo intervento, una prima definizione di Internet come bene pubblico. Si tratta quindi di focalizzare l'attenzione sul rapporto tra Internet e il bene pubblico. Nel senso che Internet può rappresentare il tentativo più attuale e concreto di definizione pratica del bene pubblico. E nel senso che la definizione di bene pubblico, per come è stato finora percepito e perseguito, viene riconcettualizzata dall'avvento e dallo sviluppo di Internet. Sarà necessario dapprima confrontarci criticamente con alcune delle metafore/immagini che vengono usate come luoghi comuni per la definizione di Internet: a) la nuova frontiera, b) le autostrade dell'informazione, c) la piazza-mercato. E infine verranno indicate prime suggestioni su due argomenti centrali: il bene pubblico e l'autogoverno.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 31-03-2001]

a) la nuova frontiera.

L'immagine che più spesso viene richiamata per definire Internet è quella della nuova frontiera, un territorio inesplorato ma che "si sa" zeppo di ricchezze e che è a portata di mano di capitani coraggiosi pronti a conquistarlo e privatizzarne sue parti. Un pò come accadde per i territori dell'Oklahoma e i suoi coloni attratti dalla fertilità di quelle terre magnificate dal governo e dalla possibilità di diventare proprietari d'un appezzamento, magari il migliore.

L'immagine che si richiama è quella dello start-up di pionieri, a cavallo, con i carri, a piedi, come nel film Cuori selvaggi con Cruise e la Kidman pronti a lanciarsi verso la felicità allo sparo dell'addetto del governo. E' un'immagine suggestiva ma deformata: Internet non è "natura", non è territorio naturale, non è una prateria sconfinata dove caracollano bisonti e dove i frutti della terra verranno copiosi se la fortuna e il sudore della fronte saranno adeguati.

Internet è nata dalle tecnologie e dall'invenzione e si sviluppa attraverso il concorso del fare umano. Questi aspetti - l'invenzione tecnologica e il fare umano - si sviluppano tutti "oltre" la natura, non "contro" la natura. Si sviluppano tutti dal lato degli uomini. L'immagine della "conquista" non serve a spiegare la natura di Internet, sia l'Oklahoma o l'Eldorado di Pizarro. Inoltre, si conquista un territorio definito, si espugna un luogo preciso, si scopre un continente immaginato e reale (come il Kathai di Marco Polo o l'America di Colombo): la geografia connota l'elemento naturale. In questo senso, nessuno ad esempio giustamente ha mai pensato a Internet come Shangri-la, luogo mistico della felicità, tra il cielo e la terra, nella linea d'orizzonte.

Ma la connotazione geografica, indispensabile per applicare la metafora della conquista d'una natura benigna, non si adatta per nulla a Internet che è "tutta la geografia" o "senza geografia". Si associa generalmente a quest'immagine l'interpretazione più nobile e astratta - cioè, più lontana dalla geografia e dalla natura - della "frontiera", quella kennedyana della new frontier, quella dell'allargamento dei confini, quella della mobilità, quella del superamento delle restrizioni, quella del rischio e dell'avventura umani.

Ma in questo caso, benché qui si colgano sicuramente alcuni aspetti reali di Internet, è proprio l'elemento volitivo, soggettivo che diventa fuorviante: Internet (la new frontier) non cresce e si sviluppa attraverso la mobilitazione, l'esortazione, il richiamo all'impegno, lo scopo. Internet ha assunto caratteri quotidiani di comportamento umano assolutamente banali, sostituendone altri o adattandone precedenti o inventandone nuovi. Spesso appartiene a quelle cose che si fanno "senza pensarci" (curare la posta, cercare delle informazioni, comprare un libro), si potrebbe dire senza equivoci ormai quasi "naturali", di quella natura costituita dai comportamenti umani abitudinari.

b) le autostrade dell'informazione.

Un'altra metafora che viene spesso usata per definire Internet è quella delle autostrade dell'informazione. Essa è sicuramente utile a raffigurare in termini analogici il traffico dei dati digitali attraverso le reti: le dorsali transnazionali e nazionali, la funzione dei grandi server e le relazioni fra gli stessi, i cavi urbani fino alla mia macchina e quindi il rapporto di "viaggio" tra la mia macchina e tutte le altre macchine del mondo. Ma prevale qui un'immagine strutturale che, se spiega come funziona Internet, non può spiegare perché funziona Internet.

Al contrario delle strade urbane, dell'asfalto e delle autostrade che furono "imposte" dallo sviluppo dell'automobile e dei mezzi di trasporto su gomma e quindi dalla necessità di ridurre e migliorare i tempi e le condizioni dello spostamento, i continui ammodernamenti e potenziamenti delle macchine (del computer) non avrebbero di per sé comportato la costruzione delle autostrade informatiche.

Le macchine potevano diventare (come lo sono diventate, e mainframe e personal) sempre più veloci e maneggevoli con processori più potenti per gestire programmi più sofisticati adatti a risolvere i problemi del loro uso primario: il calcolo e l'elaborazione rapidi di dati. Poi, la scrittura, il gioco. Il computer, al contrario del telegrafo e del telefono, non nasce per la trasmissione, la comunicazione.

Il telefono si è modificato moltissimo, sviluppando incredibilmente la comunicazione interpersonale, ma sempre a partire dalle sue intuizioni originali, dal suo senso primario. Il computer, per molti versi, era immaginato come sostituto della relazione fra uomini. E ci sono oggi macchine potentissime e "personali", come le playstation, che gestiscono dati digitali sempre più complessi e che non prevedono necessariamente l'interconnessione. Oppure, ancora, noi potremmo già oggi ricevere la più complessa delle recenti "invenzioni" su Internet, ovvero il webcasting, la televisione sullo schermo del computer di casa, senza avere mai inventato e sviluppato Internet, usando i satelliti (che le sono precedenti).

Si può qui parafrasare a rovescio Thoreau a proposito del telegrafo e delle discussioni che ne accompagnavano l'urgenza diffusiva; Thoreau scetticamente diceva: "Ci viene prospettato attraverso il telegrafo la possibilità che finalmente il Maine e il Texas possano comunicare. Ma potrebbe essere che il Maine e il Texas non abbiano nulla da dirsi". Ecco, sta proprio qui invece l'hardcore di Internet: la libertà di comunicare, l'urgenza del dire. Che è un elemento sempiterno ma che ha assunto una dimensione macroscopica nella modernità, in questa modernità.

La rilevanza della comunicazione anche nelle condizioni estreme come risorsa ultima e vitale per sopravvivere (in questa chiave contemporaneamente difensiva e strategica possono essere lette persino le prime applicazioni dell'Arpanet). L'immagine autostradale creata dallo sviluppo dell'uso e del "servizio che crea l'uso" non ci spiega dunque assolutamente nulla della natura di Internet e per molti versi è quanto di più distante ci sia dalla sua realtà: la comunicazione fra uomini a mezzo di macchine.

Laddove per le strade rimane sempre forte lo schizzo paradossale (e non solo per l'intasamento, ché questo si vive anche su Internet) delle prime scene di Otto e mezzo di Fellini o di Un giorno di ordinaria follia di Joel Schumacher con Michael Douglas. L'introversione, l'esasperazione verso gli altri per via della macchina e della sua necessità: la solitudine.

Anche l'immaginazione futuribile (cinematografica, letteraria o a fumetti) che ha "strappato" il veicolo al suolo, alla terra, ha sempre disegnato macchine e viaggiatori non comunicanti, o comunque il cui scopo di movimento non era il comunicare ma l'arrivare, la destinazione (e la comunicazione era servizio della destinazione, con centrali operative di controllo del traffico).

Internet non è un servizio della mobilità e quindi della velocità (è anche un servizio): la comunicazione fra gli uomini non è un'attività di servizio verso una destinazione ma un'attività alta, libera, vitale. E Internet non è un mezzo della comunicazione (è anche un mezzo); perché è proprio attraverso Internet, al contrario, che la comunicazione sta assumendo caratteri particolari e vitali (anche attraverso la velocità).

Insomma, almeno sinora, è la forza e il senso della comunicazione che hanno "conformato" Internet per come adesso la conosciamo, anche stravolgendone (e non solo implementandone) i suoi caratteri iniziali. Internet "nasce" dalla comunicazione fra gli uomini e dalla loro cura per aumentarla, rafforzarla, consolidarla, inventarla, velocizzarla. Senza questa cura non ci sarebbe stata Internet. Qui non c'è Prometeo che ruba la scintilla a un laboratorio per appiccare il fuoco del sapere. Qui ci sono uomini in carne e ossa che producono, scambiano e soprattutto comunicano, e questo loro "fare" definisce l'ambiente.

c) la piazza/mercato.

Infine, una ulteriore metafora che viene usata per definire Internet è quella della piazza virtuale; più propriamente la piazza assomiglia al mercato (forse alla grande piazza Jemaa El Fna di Marrakesh dove convergevano cammellieri e incantatori di serpenti, venditori d'acqua e artigiani, tappetari, curiosi e nullafacenti). Un pò agorà e un po' loggia dei mercanti, essa incarnerebbe un istinto naturale dell'uomo e un'esigenza primaria dell'organizzazione economica dell'uomo moderno, quella dello scambio e del commercio. Che dentro l'urgenza del comunicare vi sia anche la pratica dello scambio è evidente, e spesso questo scambio può assumere connotazioni commerciali (ovvero legate alla quantificazione del valore e alla transazione di "misure" del valore).

Ma colonizzare attraverso il "valore" (un elemento proprio della produzione e dello scambio, esterno al fare della comunicazione) Internet è una metafora proprio fuori luogo. Che la definizione di un ambiente umano vivo, attivo, intraprendente, ricco, possa attrarre i venditori d'acqua e di tappeti o gli incantatori di serpenti è logico. Ma nel caso della loggia o della piazza di Marrakesh essi sembrano luoghi adibiti appositamente allo scambio e alla transazione. Internet invece, non solo non nasce per scambiare "valori" ma non è un luogo adibito a questo e probabilmente non è un luogo in assoluto (forse piuttosto un tempo), invece che essere "ogni luogo" (o un luogo qualunque) come la colonizzazione commerciale vorrebbe fosse.

La vicenda Napster, dove il crinale tra comunicazione ed economia è contemporaneamente indistinguibile e netto, è esemplare in questo senso. Mentre Napster viene giudicata da una Corte, diventa Bertelmann, chiude, si modifica, o quel che sarà, lo scambio peer to peer - che era la primaria motivazione di Napster - a mezzo d'un server o diretto continua altrove e "senza valore".

L'esemplarità sta nel fatto che la comunicazione imponeva la sua natura di "assenza di valore di scambio" (il no copyright) alla transazione di oggetti. Per questa via, le corporations che continuano a considerare Internet come un pall mall di vetrine luccicanti sono condannate a perdere, soprattutto se si affannano a ritrovare il perché continuino a perdere in motivazioni grafiche, di plan finanziario o di tempistica. Sicuramente per le corporations è invece valida la metafora (un'altra!) del Far west (Far web), dove si affrontano tipacci senza scrupoli, nuovi uomini dai sette capestri e George Pullman con le loro carrozze ferroviarie, che spostano individui a "portare e regolare" il mercato, anzi il Nuovo mercato.

Il bene pubblico

L'elaborazione del concetto di Internet come bene pubblico comporterà una definizione più precisa anche di termini giuridici. Qui si vuole solo presentare alcune suggestioni per verificarne semmai la congruità. Intanto, va detto che il bene pubblico non corrisponde al concetto di cosa pubblica e di spazio pubblico, benché con l'uno e con l'altro abbia caratteri di confine.

Il concetto che meglio esprime la definizione di bene pubblico è quello del demanio, peraltro forma giuridica antica. Demanio viene dal francese demaine, ovvero dal latino dominium, dominio. E' curioso, ma non poi troppo, che "dominio" si chiami proprio lo spazio Internet che va "occupato" per le proprie pagine web. Il bene pubblico è un complesso di beni destinato al soddisfacimento dei bisogni pubblici. Esso gode del principio dell'inalienabilità, ovvero il suo uso è destinato al godimento degli appartenenti alla collettività.

Ora, di questo concetto-pratica interessano meno gli aspetti legati alla "natura" (le terre demaniali o i beni quali l'acqua, l'aria) e quelli legati alla statualità (i servizi, quali canali di trasmissione di beni materiali e immateriali); mentre, è più importante soffermarsi sulle questioni del bisogno, dell'uso, della collettività. Il criterio del bisogno è sempre stato delineato in termini di assenza, di mancanza: è la rarità, la scarsità di un bene che ne determina il bisogno, privato o pubblico. Ci sembrerebbe più appropriato invece collocare la definizione di bisogno dentro i criteri della possibilità, dell'opportunità.

Il bisogno di informazione ad esempio non si può certo collocare nei termini della scarsità: siamo in presenza di un eccesso, di una sovrapproduzione, di una sovraesposizione. Eppure, il bisogno di informazione certo non diminuisce, seppure necessiti - anzi oggi più che mai - di criteri di opportunità, a partire dalla selezione. E per principio si seleziona quando si ha a propria disposizione l'opportunità e la libertà di scegliere, non quando si è guidati e dettati dalla mancanza, dall'irreperibilità, dalla assoluta necessità.

Internet in questo senso è un bisogno ma è legato alla ricchezza d'un bene, quello della comunicazione, quasi alla sua illimitata disponibilità, e non alla sua scarsità. Anche il criterio di uso andrebbe rivisitato: l'uso di un bene produce un deperimento dello stesso o un suo impoverimento fino alla scomparsa. Ma qui ci troviamo di fronte a una pratica che rovescia questo criterio: l'uso di Internet ne favorisce l'accrescimento, anzi è proprio la pratica unica del suo accrescimento. Persino una estesa e capillare rete globale di Internet e un suo accesso libero e gratuito, accompagnato da velocità di connessione e dalla diffusione di macchine sempre più potenti, quindi colossali investimenti pubblici e privati nulla significherebbero se non ci fosse l'uso accrescente dei cittadini.

Ci sono già state invenzioni dell'uomo e investimenti che furono abbandonate alla polvere e alla ruggine dal disinteresse della collettività. Intervenendo in una formula dell'economia classica, il valore d'uso di Internet (e non il suo valore di scambio) produce un plusvalore che si distribuisce sì in maniera ineguale sulla rete ma solo su se stessa può ricadere. E questo vale persino per le corporations che aumentano i loro numeri finanziari in maniera vertiginosa: sottrarsi alla rete può dare in alcuni casi momentanei guadagni ma significa la condanna alla scomparsa economica. Mentre in diversi casi la costrizione a restare in rete produce inevitabili perdite da cui non si può sfuggire. Così come tentare di rinchiuderne gli accessi può solo portare al proprio isolamento: un fenomeno come quello che attraversò per secoli il Giappone, ma che oggi, per l'immaterialità della comunicazione e dei suoi mezzi sarebbe improponibile a meno di aspetti totalitari parossistici (che qui e là accadono).

Evidenziare il carattere di bene pubblico di Internet a cui contribuisce la partecipazione collettiva non significa sottovalutare o misconoscere il contributo di aziende, amministrazioni, enti, il loro investimento di mezzi e risorse spesso importanti. Quello che si vuole dire quando si pensi alle aziende è che comunque il "ritorno" in termini di benefici rispetto ai propri investimenti (anche notevoli come nel caso di una corporation) è dovuto a qualcosa che esubera il proprio business plan o il proprio prodotto: è dovuto appunto a quel plusvalore dato dall'uso di Internet da parte dei cittadini e dal loro "fare" collettivo.

Infine, la collettività e non la statualità: è davvero difficile, parlando di Internet, pensare al criterio di bene pubblico agganciato ai confini e ai territori dello Stato, e persino alle strutture sovranazionali. Ad esempio, sarebbe ridicolo anche solo immaginare processi di nazionalizzazione (statalizzazione) di questo bene pubblico come fu per l'elettricità con l'ENEL nel piano di Fanfani. Il concetto di collettività, di comunità, per quanto mobile o proprio perché mobile, può meglio essere utilizzato per tentare di afferrare in qualche modo quel "pubblico" che ha il diritto di godere dei "suoi" beni.

Considerare Internet come bene pubblico, certo non blocca i continui tentativi di privatizzazione, di sottrazione di spazi e tempi della collettività ad opera di aziende e amministrazioni. Ma può permetterci, nel rivendicarlo, di sanzionare questi tentativi come infrazioni.

Anche nel mercato esiste un potere dei consumatori, che si manifesta a volte in modo passivo, nella negligenza e indifferenza verso questo o quel prodotto, a volte in modo attivo nell'indicare le frodi di questa o quella marca, nell'organizzare campagne. I consumatori utilizzano dunque il potere d'acquisto in forma sanzionatoria, indirizzando cioè il proprio acquisto verso altri prodotti o semplicemente negando l'acquisto di una marca. Nel caso di Internet le sanzioni all'infrazione delle regole, all'abuso del bene pubblico, ai comportamenti illegittimi di aziende e amministrazioni potrebbero e dovrebbero esercitarsi sui diritti di godimento del bene pubblico (ad esempio, cos'altro è il netstrike se non l'esercizio di questa sanzione temporanea?).

L'autogoverno

Contrariamente a quanto comunemente si dice a proposito di Internet per rappresentarla come un territorio selvatico dove vige l'assenza di leggi, esistono pochi ma precisi criteri per definirne la figura principale del possesso di diritti e doveri, quella della cittadinanza. La cittadinanza consente il godimento del bene. Cittadino di Internet e quindi proprietario di diritti e doveri è chiunque "vi viva". La residenza (viverci) come criterio abbraccia intenzionalmente il mondo e non solo supera e sublima l'elemento territoriale ma comprende quello temporale: si è cittadini di Internet nel momento e per il tempo in cui lo si usa.

La differenza con i criteri finora definiti della cittadinanza è notevole: l'intermittenza dell'uso, l'intermittenza del tempo, la reversibilità dello stesso non sono più un criterio punitivo o selettivo - si diventa cittadini d'un territorio se la propria residenza nello stesso è corroborata da un periodo stabilito e duraturo -, ma un criterio positivo, di promozione, di appartenenza o inclusione. Non più il sangue, l'etnia, la lingua, le abitudini e i costumi a definire un popolo, ma direttamente i diritti e i doveri della cittadinanza. In questo senso il "popolo di Internet" sono i cittadini di Internet. Questa cittadinanza è caduca, perché si dismette, si interrompe nel momento in cui non si vive, ma è nello stesso tempo sempre disponibile, sempre rinnovabile.

Ora, questa distribuzione della sovranità (e del monopolio della forza), che è il fondamento costitutivo (la Grundnorme) che permette l'inclusione della cittadinanza, pone il problema del governo di questa complessità nei termini dell'autogoverno. Ovviamente qui non si tratta di rovesciare il sovrano né di prenderne il potere, ma di provare ad autogovernare la più complessa costituzione del comunicare tra gli uomini mai realizzata.

I tentativi di governare elettronicamente la cittadinanza (di cui il convegno del Global Forum di Napoli di marzo ne è una propaggine) hanno assunto finora l'aspetto della "digitalizzazione della cittadinanza": in sé non c'è nulla di male - a parte il pericolo, non proprio insignificante, su cui vigilare, del trattamento e della conservazione dei dati. Anzi, forse, elementi di semplificazione delle procedure amministrative e burocratiche o di accesso a dati pubblici possono essere benefici. Si può pensare che rientri in un criterio forte di trasparenza e di cittadinanza la conoscenza di tutti gli elementi pubblici della collettività - tranne quelli che devono essere sottoposti al riserbo dovuto alla "persona": dati fiscali, finanziari, di bilancio, della sicurezza e così via.

Tutto quanto è "pubblico" - anche nella sua accezione più statale - bene sarebbe fosse disposto per una rapida e dettagliata consultazione, che quasi sempre è il prerequisito della vigilanza. Ma questo aspetto del "servizio" poco c'entra con il governo e coglie solo uno dei caratteri di Internet. Decentramenti amministrativi, semplificazioni digitali (firma e documentazione), esercizio del voto, tutte queste e altre sono banalità applicative (certo, bisognerà vigilare sulla gran massa di denaro pubblico che è in gioco). Ma il punto resta: chi governa chi?

Potrebbe essere molto più interessante muoversi invece sulla strada dell'autogoverno. I movimenti hanno finora utilizzato Internet nel suo versante della mobilitazione: la comunicazione di documenti, di lettere, di analisi è spesso servita a "chiamare" il popolo di Internet (i suoi cittadini) contro manovre e istituti della globalizzazione, per denunciare abusi, soprusi, forme di schiavitù, per gestire informazione. I movimenti, o loro parti, o singoli cittadini hanno anche usato Internet per sabotare aziende, amministrazioni, personaggi che abusavano e profittavano illecitamente della loro cittadinanza.

Spesso tutti questi aspetti hanno assunto caratteri consultivi precedenti l'azione: le mailing-lists e i forum hanno funzionato in questo senso, come larghe assemblee o piccoli sottoscala dove ci si esprimeva e si contavano le idee. Si potrebbe immaginare adesso un ulteriore passaggio, quello di Internet come il luogo dell'autogoverno (e in questo senso la digitalizzazione di dati amministrativi può addirittura aiutare nell'amministrazione quotidiana dell'autogoverno).

Quindi, quello di Internet come luogo della decisione da parte della cittadinanza su questo o quell'aspetto che riguardi il bene pubblico. La comunicazione, il "fare" della comunicazione assumerebbe così anche l'aspetto vincolante del patto di cittadinanza, ma con quel carattere assolutamente innovativo determinato dall'intermittenza della cittadinanza e quindi del suo patto: con l'intermittenza ci si divincola dal patto ma non si toglie legittimità al vincolo altrui. E poi, è proprio necessario che la decisione sia vincolante (potere di organizzare)? Forse, il passaggio verso l'autogoverno in Internet non si configura come passaggio dal potere di interdire al potere di decidere, quanto piuttosto alla continua dilatazione del suo "fare" primario: comunicare, connettere, costituire. In realtà, è quanto sta già accadendo.

Se questo articolo ti è piaciuto e vuoi rimanere sempre informato con Zeus News ti consigliamo di iscriverti alla Newsletter gratuita. Inoltre puoi consigliare l'articolo utilizzando uno dei pulsanti qui sotto, inserire un commento (anche anonimo) o segnalare un refuso.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Commenti all'articolo (0)


La liberta' di parola e' un diritto inviolabile, ma nei forum di Zeus News vige un regolamento che impone delle restrizioni e che l'utente e' tenuto a rispettare. I moderatori si riservano il diritto di cancellare o modificare i commenti inseriti dagli utenti, senza dover fornire giustificazione alcuna. Gli utenti non registrati al forum inoltre sono sottoposti a moderazione preventiva. La responsabilita' dei commenti ricade esclusivamente sui rispettivi autori. I principali consigli: rimani sempre in argomento; evita commenti offensivi, volgari, violenti o che inneggiano all'illegalita'; non inserire dati personali, link inutili o spam in generale.
E' VIETATA la riproduzione dei testi e delle immagini senza l'espressa autorizzazione scritta di Zeus News. Tutti i marchi e i marchi registrati citati sono di proprietà delle rispettive società. Informativa sulla privacy. I tuoi suggerimenti sono di vitale importanza per Zeus News. Contatta la redazione e contribuisci anche tu a migliorare il sito: pubblicheremo sui forum le lettere piu' interessanti.
Sondaggio
Qual è il risultato corretto di 6/2(1+2) ?
1
9

Mostra i risultati (4174 voti)
Aprile 2024
MS-DOS 4.00 diventa open source
Enel nel mirino dell'Antitrust per le bollette esagerate
TIM, altre ''rimodulazioni'' in arrivo
L'algoritmo di ricarica che raddoppia la vita utile delle batterie
Hype e Banca Sella, disservizi a profusione
Falla nei NAS D-Link, ma la patch non arriverà mai
La navigazione in incognito non è in incognito
Le tre stimmate della posta elettronica
Amazon abbandona i negozi coi cassieri a distanza
Marzo 2024
Buone azioni e serrature ridicole
Il piano Merlyn, ovvero la liquidazione di Tim
Falla nelle serrature elettroniche, milioni di stanze d'hotel a rischio
L'antenato di ChatGPT in un foglio Excel
La valle inquietante
La crisi di Tim e la divisione sindacale
Tutti gli Arretrati
Accadde oggi - 2 maggio


web metrics