Il ddl 2195 di Gabriella Carlucci vuole abolire l'anonimato in Rete ed estendere ai contenuti presenti le norme sulla stampa per il reato di diffamazione.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 18-02-2009]
Evidentemente a Roma non hanno niente di meglio da fare che cercare di imbavagliare Internet o, se la cosa si mostra troppo difficile per via di ovvie questioni tecniche, almeno fare in modo che chiunque sia rintracciabile e oscurabile a piacere.
L'ultima, brillante, inflessibile e fumosa - e pertanto pericolosa - idea si trova nel disegno di legge 2195 proposto da Gabriella Carlucci con il nobile scopo di "assicurare la tutela della legalità nella rete Internet".
La pubblicazione ufficiale del testo deve ancora avvenire ma alcune parti - in particolare il secondo articolo - stanno già circolando e ricevendo parecchia attenzione.
Benissimo: quindi bisogna firmare tutto con nome e cognome? Serve una foto? Sono banditi i nickname? Oppure già adesso l'anonimato in pratica non esiste - visto che i provider sono in grado di risalire con una certa sicurezza, grazie ai dati contenuti nei log (indirizzi Ip, orari e via di seguito), agli autori di determinati contenuti - e dunque questo comma è inutile?
Ai gestori dei sistemi di anonimizzazione, come Tor o Freenet, converrà forse tenere pronte le valigie, considerato che la loro attività potrebbe agevolare l'immissione di contenuti in forma anonima?
L'inizio, insomma, è pessimo. Il comma sembra esplicito ma in realtà lascia ampio spazio alle interpretazioni e quindi alla possibilità di piegare la legge a piacimento.
Il secondo comma rasenta il delirio di onnipotenza, andando a minacciare anche chi stia fuori dall'Italia: "I soggetti che, anche in concorso con altri operatori non presenti sul territorio italiano, ovvero non identificati o indentificabilì, rendano possibili i comportamenti di cui al comma 1. sono da ritenersi responsabili - in solido con coloro che hanno effettuato le pubblicazioni anonime - di ogni e qualsiasi reato, danno o violazione amministrativa cagionati ai danni di terzi o dello Stato".
Chi siano questi soggetti non è chiaro. Forse già quelli che ammettono interventi senza un'identificazione preventiva - ma conservano gli indirizzi Ip - oppure quelli che nemmeno si danno pena di registrare gli indirizzi Ip contravvenendo tra l'altro a una norma europea non ancora in vigore o magari ancora i poveri gestori di Tor, bersagliati da destra e da manca.
Né, d'altra parte, i provider sono attrezzati per identificare ogni singolo atto di ogni singolo utente relativamente ad ogni singolo servizio usato e neppure è chiaro se, con questo Ddl, sia sufficiente l'Ip per identificare i "rei".
Dato che al peggio non c'è limite, ecco il terzo comma, più lungo dei precedenti e del seguente, che però si comprende rapidamente leggendo anche solo la prima riga: "Per quanto riguarda i reati dì diffamazione si applicano, senza alcuna eccezione, tutte le norme relative alla Stampa".
Pericolosissimo: il blog personale letto da tre amici e dieci visitatori occasionali diventa esattamente uguale al Corriere della Sera, il sito con le foto della famiglia è equiparabile alla Repubblica, chi si infiamma sul forum dell'Olimpo Informatico - oltre a evocare un moderatore - rischia una bella denuncia per diffamazione, in quanto tutto è "pubblicazione", qualora lo sciagurato Ddl incassi l'approvazione di chi di dovere.
Che bello, però! Ogni webmaster, gestisse anche solo il sito della polisportiva locale, potrà farsi chiamare Direttore responsabile. Forse sarebbe convenuto chiedere un parere ai giudici inglesi che si occupano del caso di Royd Tolkien.
Lodevole certamente il fatto che all'onorevole Carlucci - o a chi per lei ha realizzato la proposta - sia sorto un dubbio, sempre all'inteno del comma 3: "Qualora insormontabili problemi tecnici rendano impossibile l'applicazione di determinate misure, in particolare relativamente al diritto di replica, il Comitato per la tutela della legalità nella rete Internet (di cui al successivo articolo 3 della presente legge) potrà essere incaricato dalla Magistratura competente di valutare caso per caso quali misure possano essere attuate per dare comunque attuazione a quanto previsto dalle norme vigenti".
Il dubbio si traduce facilmente così: qualora qualcuno si accorga che stiamo ordinando l'impossibile, sarà affare del giudice inventarsi qualcosa di plausibile da far fare al Comitato per la tutela della legalità (un nome che solo a sentirlo fa venire l'orticaria), visto che comunque il già esistente reato di diffamazione prevede conseguenze precise.
Infine, il quarto comma: "In relazione alle violazioni concernenti norme a tutela del Diritto d'Autore, dei Diritti Connessi e dei Sistemi ad Accesso Condizionato si applicano, senza alcuna eccezione le norme previste dalla Legge 633/41 e successive modificazioni".
Cioè in pratica il Ddl 2195 sta dicendo che alle violazioni del copyright si applica la legge sulle violazioni del copyright. Inutile, ma inoppugnabile.
Il lato positivo è che se c'era il sospetto che l'onorevole Carlucci - e buona parte dei suoi colleghi - legiferassero su cose che non conoscono, ora esso è caduto, trasformandosi in certezza.
Comprendere la complessità della Rete e la quantità di soggetti coinvolti richiede fatica e un po' di umilità, mentre bollare Internet come "selvaggia terra di nessuno" per la presenza di gruppi dalla mentalità criminale su Facebook (ignorando tutto il resto) è molto più semplice e forse fa anche sentire più buoni.
In realtà, forse, un'idea buona c'era, almeno in origine: la proposta di abolire l'anonimato potrebbe sottintendere l'idea che sono i singoli utenti a essere responsabili delle proprie azioni e non - per esempio - i provider, come di tanto in tanto si vuole credere. Peccato che sia stata prontamente sommersa dalle inqualificabili proposte presenti nel Ddl 2195.
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