Rilevata una correlazione tra l'inquinamento e la morte di persone con disturbi mentali.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 24-05-2018]
Tutti conosciamo qualche persona più o meno meteoropatica, che si entuasiasma col bel tempo e s'intristisce quando le giornate si accorciano, le piogge iniziano e scende la nebbia.
Ora però uno studio condotto da alcuni ricercatori di Hong Kong ha scoperto che le giornate di foschia, soprattutto se peggiorate da elevati livelli di inquinamento atmosferico, posso addirittura spingere al suicidio le persone con disturbi mentali (come bipolarità, depressione, schizofrenia e demenza).
I dati raccolti dai ricercatori si riferiscono a 284.000 morti registrate nel periodo dal 2007 al 2014, durante il quale ci sono stati 111 giorni di foschia. Da essi si evince che, nel primo giorno di nebbia, il rischio di mortalità per queste persone aumenta del 16%, e nel secondo del 27%.
C'è di più: se oltre alla foschia l'inquinamento da ozono è elevato (cosa abbastanza normale, dato che il primo fenomeno favorisce il secondo), il rischio di morte subisce un incremento pari addirittura al 79%.
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Esattamente perché l'aumento dell'inquinamento porti a un correlabile aumento del rischio di mortalità per chi soffre di disturbi mentali ancora non è chiaro, tuttavia anche altri studi paiono confermare il legame tra inquinamento e suicidi.
«L'influenza combinata di foschia, della pessima qualità dell'aria/del tempo atmosferico, e dell'ambiente urbano possono produrre come risultato una mortalità estremamente alta dovuta a disturbi mentali/comportamentali o a malattie del sistema nervoso» scrivono gli scienziati, che chiedono che siano condotti al più presto ulteriori studi e stilati protocolli di intervento.
Lin Yang, uno degli autori dello studio, ricorda come esperimenti sui topi abbiano mostrato che alcune nanoparticelle di inquinamento atmosferico sono in grado di raggiungere il cervello, e da lì influenzare lo sviluppo mentale.
Nel 2016, poi, un altro studio ha confermato la presenza delle nanoparticelle tossiche anche nel cervello umano, e non in quantità secondaria: ciò potrebbe quindi indicare che le conseguenze dell'inquinamento dell'aria sono più serie di quanto si sia pensato sinora.
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