[ZEUS News - www.zeusnews.it - 21-05-2019]
Che la plastica tradizionale sia tutt'altro che "amica dell'ambiente" è cosa nota: abbandonata a sé stessa, è in grado di resistere praticamente intatta per tempi lunghissimi.
Per questo motivo all'inizio del 2018 in Italia sono stati introdotti per legge i sacchetti di plastica biodegradabile nei supermercati, con annessa famosa polemica circa il costo - generalmente un paio di centesimi di euro - che da allora appare come voce separate sugli scontrini dei reparti frutta e verdura.
La plastica biodegradabile si chiama così perché, se anche viene abbandonata nell'ambiente, dopo un certo periodo si degrada, ossia si scompone in composti chimici semplici grazie all'azione di agenti biofisici naturali (batteri, luce solare, umidità e via di seguito).
Per completare il quadro possiamo dire che esiste anche un altro tipo di plastica, definita "compostabile", il cui esempio più famoso è probabilmente il Mater-Bi di cui spesso sono composti i sacchetti per la frazione umida dei rifiuti.
Questa plastica si degrada in tempi piuttosto rapidi (3 mesi), è ottenuta da materie vegetali (il mais, nel caso del Mater-Bi) e non interferisce con il compostaggio, processo dal quale si ottiene il compost, utilizzato in agricoltura come fertilizzante naturale.
Di recente, tutti e tre i tipi di plastica sono stati sottoposti a uno studio da alcuni ricercatori dell'Università di Plymouth per verificare quali effettivamente siano i tempi richiesti per la biodegradabilità dei materiali.
La ricerca, che ha preso in esame sacchetti della spesa di plastica compostabile, due diversi tipi di sacchetti di plastica biodegradabile e sacchetti di plastica tradizionali, ha portato a qualche sorpresa.
Alcuni sacchetti di tutti e quattro i tipi sono stati lasciati immersi in acqua di mare e altri sono stati sotterrati. Dopo tre anni sono stati estratti ed esaminati.
Se la plastica tradizionale s'è comportata come ci si aspettava, mantenendo una certa integrità, la sorpresa più grande è arrivata dalle plastiche biodegradabili: non solo i sacchetti in questi materiali erano ancora sostanzialmente intatti, ma erano addirittura in grado di sostenere il peso di una spesa tipica.
Per quanto riguarda le borse di plastica compostabile, quelle immerse in mare già dopo tre mesi s'erano dissolte; quelle seppellite erano invece ancora presenti, sebbene inutilizzabili.
«Dopo tre anni» - ha commentato Imogen Napper, autore principale dello studio - «sono stato davvero sorpreso che una qualsiasi delle borse fosse ancora in grado di sostenere il peso della spesa. Ma ciò che mi ha sorpreso maggiormente è stato il fatto che i sacchetti di plastica biodegradabile erano in grado di farlo».
«Quando si vede qualcosa etichettato in quel modo [biodegradabile, NdR]» - continua Napper - «ci si aspetta automaticamente che si degradi più velocemente delle borse tradizionali. Ma, dopo almeno tre anni, le ricerche mostrano che non è proprio così».
Sacchetti biodegradabili | ||
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Per quanto riguarda il fatto che anche i sacchetti di plastica compostabile erano ancora presenti nel terreno, l'azienda produttrice, interpellata, ha spiegato che perché esse si dissolvano è necessario che siano presenti certi micro-organismi (che normalmente si trovano nel compost); se nel suolo non sono presenti, la degradazione è molto più lenta.
Di fronte a questi risultati il professor Richard Thompson, capo della Marine Litter Research Unit dell'Università di Plymouth, ha sottolineato come venga da chiedersi se finora la gente non sia stata fuorviata.
«Abbiamo dimostrato che i materiali testati non hanno vantato alcun vantaggio consistente, affidabile e rilevante nei confronti dell'inquinamento marino. Il nostro studio evidenzia la necessità di delineare degli standard per i materiali biodegradabili, che indichino chiaramente il modo corretto per il loro smaltimento e il ritmo di degradazione che ci si può aspettare».
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