Le paure degli italiani

Descritte e analizzate in un pamphlet sintetico, da un importante storico delle imprese italiane.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 20-05-2004]

Dopo i saggi lucidi e disarmanti di Massimo Mucchetti, Luciano Gallino, Riccardo Petrini, Giuseppe Turani sul declino economico, imprenditoriale, sociale e culturale dell'Italia di questi primi anni 2000 arriva "Le Paure degli Italiani", scritto dal più importante storico delle imprese italiane, Valerio Castronovo, ed edito da Rizzoli.

Si tratta di un pamphlet che ha il dono della sintesi e quello della completezza, tutto incentrato sulle paura degli italiani, approdati, finalmente, all'agognato ceto medio, il centro propulsore delle moderne società occidentali, che la crisi economica possa sprofondarli nella povertà o, comunque, nell'incertezza e nella precarietà.

Sentimenti che producono paura di cambiare e di investire, di lavorare e rischiare, e quindi di accelerare e aggravare con questo atteggiamento psicologico e morale le dinamiche già in atto di tipo economico che conducono verso il declino.

Innanzitutto il ceto medio ha dimensioni, comunque, inferiori a quelle di altri Paesi a noi simili per reddito e struttura economica: secondo un'indagine condotta dall'European Foundation e dal Censis quanti svolgono in Italia particolari mansioni come impiegati di concetto e funzionari non sono più del 47% del personale dipendente, dieci punto in meno rispetto alla media europea.

Non solo: i lavoratori appartenenti alle categorie "scientifiche e creative" sono nel nostro Paese non più del 13% contro il 30% della media dell'Unione Europea.

La causa principale è l'inefficienza del nostro sistema universitario in cui si spende solo l'0,8% del Pil, circa 10 miliardi di euro, contro i 15 della media europea.

Le cose rischiano però di peggiorare, visto che molti giovani, una volta laureatisi, non trovano una collocazione nel mondo del lavoro se non dopo tempo, comunque precaria e inadeguata per retribuzione e qualità del lavoro alle aspettative legate al possesso della laurea.

Infatti, una ricerca dell'Università di Bologna, ha recentemente fatto emergere che nel corso del 2003 le possibilità per i laureati, a un anno dalla fine degli studi di trovare un lavoro, sono diminuite e che è peggiorato anche il reddito di quelli che riescono a trovare un posto.

Lo stato pietoso del comparto della ricerca pubblica e privata contribuisce al pessimismo sul destino dei propri figli: nel 2003 gli investimenti pubblici nella ricerca sono diminuiti del 5,3%, assestandosi sull'1,1% del Pil contro la media europa del 2%.

D'altra parte anche le spese per l'istruzione ammontano al 4,8% del Pil contro una media Ocse superiore di un punto. La spesa totale della ricerca è, comunque, pari solo al 30% di quella della Germania, al 47% di quella della Francia ed è, addirittura, minore a quella della Corea del Sud che ha un reddito nazionale inferiore di 2/3 al nostro.

L'Italia, perciò, figura al quindicesimo posto sui primi 18 Paesi per numero di brevetti industriali: appena 62 richieste per milione di abitanti; la metà di quelle francesi, 4 volte inferiori a quelle della Germania.

Solo il 3% delle imprese italiane ha introdotto innovazioni di prodotto contro il 60% di quelle tedesche e la quota del mercato internazionale dell'Information & Communication Technology detenuta dal nostro Paese figura è circa l'1%, che ci fa figurare al ventottesimo posto nella classifica mondiale.

"Il piccolo è bello" della notra realtà industriale, fatta dai distretti del Made in Italy, non regge la competizione industriale che abbisogna di ricerca ed innovazione sostenute e continue e anche le 200-300 medie imprese che costituiscono l'ossatura economica ed industriale del nostro Paese avrebbero bisogno di una politica industriale, finanziaria, di sostegno alle sportazioni che sostituisca le politiche di svalutazione della lira e di dazi doganali non più possibili con l'Euro.

Dunque la prospettiva di un lavoro di qualità sfuma sempre di più nella prospettiva degli italiani ed è questa una delle loro principali paure.

Le altre paure sono quelle legate al reddito: un reddito eroso e falcidiato dalla fine delle rendite legate ai Bot e ai Cct prima e poi dalle crisi finanziarie che si sono abbattute sulle quelle integrazioni al reddito dipendente e non che venivano da azioni, obbligazioni e Bond, che garantivano, sulla carta, buoni interessi ma di cui banche e mediatori finanziari non avevano spiegato tutta la loro pericolosità ma, soprattutto, i guasti che una finanza cattiva ed illegale avrebbero prodotto.

Argentina, Cirio, Parmalat, Bipop-Carire, altre banche locali sono all'origine delle paure legate al risparmio. 7100 miliardi di euro, bruciati in circa una dozzina di dissesti finanziari, più di 80.000 risparmiatori coinvolti.

Ma non è finita qui: nel 2007 verranno a scadere 15 miliardi di euro di Bond italiani senza rating e, quindi, a maggior rischio, ed alcune di queste obbligazioni sono state emesse da aziende già finite in amministrazione fiduciaria o a rischio di insolvenza. Un rischio tutto italiano: l'Italia figura fra le nazioni europee dove si è fatta più incetta di questi Bond.

C'è la grande paura che il caroprezzi di questi anni non si fermi più e che pensioni e stipendi non possano più starci dietro. Già solo i dati Istat, che non riescono a valutare l'esatta incidenza sul budget delle famiglie, calcolano un 5,2% di aumento del costo della vita nel biennio 2002-2003, colpendo soprattutto le famiglie con un reddito tra mille e tremila euro.

Si parla più concretamente per queste fasce di una riduzione del potere d'acquisto del 20% in un biennio che ha portato ai minimi termini l'incremento dei consumi.

Infine viene ricordata l'indagine Eurispes del gennaio 2004: 600 mila famiglie in più rispetto alle precedenti un milione e mezzo che si trovano ad un passo dalla soglia di "povertà relativa che consiste nel disporre di un reddito di 850 euro al mese o poco più. Significa una famiglia italiana su 10, circa il 12,5 di tutti gli italiani, di cui il 65% nel Sud.

Per la prima volta non siamo più in presenza di un atteggiamento psicologico positivo ed improntato all'ottimismo: so che in futuro starò meglio e i miei figli staranno meglio di me ma negativo e pessimistico per cui, al limite, va bene se rimango come adesso e se i miei figli faranno il mio lavoro, pur modesto che sia. Un atteggiamento che si sta riflettendo nell'inasprirsi delle lotte sociali e sindacali e nel più basso tasso di natalità d'Europa, che in futuro rischia di aggravare le situazioni.

Castronovo non assolve, però, i ceti medi: E' pur vero che il ceto medio ha la sua parte di responsabilità per quanto gli sta capitando. E non solo perché ha puntato su certi Bond con il miraggio di moltiplicare le rendite senza rischi di sorta, ma perché ha continuato a far conto sul posto fisso come se gli spettasse di diritto; oppure perché ha presunto che i notevoli cambiamenti emersi durante l'ultimo tratto del secolo scorso nei modi di lavorare, di produrre, e di gestire non dovessero coinvolgerlo ed obbligarlo quindi ad aggiornarsi e a tenersi al passo con i tempi; o perché ha finito di crogiolarsi nel tanto di benessere che aveva raggiunto ritenendolo intangibile, perché è stato troppo indulgente con i figli invece di impegnarsi a renderli più maturi ed attrezzati per affrontare il futuro.

Fatta questa disamina impietosa delle colpe di noi italiani "medi", Castronovo non può non concludere che la colpa principale è della politica, di maggioranza e di opposizione, capace solo di litigare anziché di trovare soluzioni concrete e progetti convincenti per ridare fiducia e speranza alla gente.

Scheda
Titolo: Le paure degli italiani
Autore: Valerio Castronovo
Editore: Rizzoli
Prezzo: 9,50 euro

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Pier Luigi Tolardo

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