Chiedono 100 milioni di dollari per i danni causati dalle foto hot pubblicate in Rete.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 03-10-2014]
Se molte persone famose si scattano foto osé salvandole - coscientemente o per via delle impostazioni automatiche - su una piattaforma di cloud computing e se questa piattaforma viene violata, e se le foto finiscono in Rete non una ma due volte con grande imbarazzo dei soggetti ritratti, di chi è la colpa?
Secondo Marty Singer, avvocato di Los Angeles che rappresenta diverse delle celebrità coinvolte nello scandalo per tutti ormai noto come The Fappening (da Kate Upton a Jennifer Lawrence, da Rihanna a Selena Gomez), la colpa è di Google.
Colpa non per la falla, ovviamente, (ammesso che di falla si possa parlare) ma per aver lasciato che gli utenti dei suoi servizi condividessero quelle foto senza rimuoverle prontamente: sarebbe colpa di Google, insomma, se le immagini trafugate sono apparse sui blog di Blogspot, nello spazio di Google Drive, nei video di YouTube e via dicendo.
La tesi è esposta in una lettera, riportata da Page Six, che l'avvocato Singer ha inviato a Sergery Brin e Larry Page, fondatori di Google, oltre che a Eric Schmidt e agli avvocati dell'azienda.
Google si sarebbe comportata «in modo palesemente immorale» evitando «di agire prontamente e responsabilmente nel rimuovere le immagini facilitando invece consapevolmente, agevolando e perpetuando la condotta illegale. Google sta facendo milioni e traendo profitto dalla vittimizzazione delle donne» scrive l'avvocato.
Pur di guadagnare denaro tramite la visualizzazione delle pagine web che riportavano le foto (e delle pubblicità lì ospitate), Google si sarebbe quindi mossa di proposito con lentezza nonostante le ripetute richieste di rimozione.
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«Google sa che le immagini sono beni rubati, foto e video privati e confidenziali ottenuti in modo illegale e pubblicate da predatori pervertiti che violano il diritto alla privacy delle vittime... Eppure Google non ha preso alcuna contromisura, o quasi, per fermare queste violazioni vergognose» continua Singer.
Seguendo questo ragionamento, l'avvocato chiede quindi 100 milioni di dollari di danni.
Google ovviamente non ha alcuna intenzione di passare per il malvagio di turno che approfitta di povere vittime e ha già replicato affermando che entro poche ore dalla ricezione delle richieste di rimozione centinaia di account erano già stati chiusi e decine di migliaia di foto erano state cancellate.
Quello che Google non dice, ma sottintende perché chiunque conosca un po' Internet lo sa bene, è che una volta che una foto tanto "popolare" - nel bene o nel male - finisce in Rete è pressoché impossibile farla sparire: s'illude chi pensa che si possa ripulire il web una volta per sempre.
È peraltro quasi buffo notare come, quando lo scandalo scoppiò ormai oltre un mese fa, sembrava scontato che sarebbe stata Apple a trovarsi in guai legali; invece ora è Google a rischiare una causa milionaria.
Il problema però non è la cifra: non sono certo i soldi che mancano a Google. Il problema è il principio che sta alla base della richiesta, ossia il medesimo che considera responsabile dei contenuti chi fornisce il mezzo per crearli, condividerli o raggiungerli e ha dato origine al cosiddetto diritto all'oblio.
Un portavoce di Google ha rilasciato a Zeus News questa dichiarazione: "Abbiamo rimosso decine di migliaia di foto - nell'arco di ore dalla richiesta - e abbiamo chiuso centinaia di account. Internet viene usato in moltissimi modi positivi: rubare le foto private della gente certo non è uno di questi."
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