Google strizza l'occhio alla bioingegneria

Un gruppo di lavoro indipendente ha inviato una richiesta di spiegazioni al gigante dell'informazione online, sempre più avido di conoscere i profili dei propri utenti. Forse puntando in futuro anche al loro patrimonio genetico.



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-05-2007]

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L'organismo consultivo indipendente Articolo 29 ha invitato formalmente Google a giustificare alcune iniziative che, a detta dei consulenti, potrebbero violare le regole europee sulla privacy; questa almeno la notizia riportata dal Financial Times di Londra e ripresa variamente dagli organi d'informazione.

Non è la prima volta che la massa d'informazioni più o meno personali raccolte da Google desta preoccupazione per i possibili risvolti; anche perché non si conoscono le regole, se ve ne sono, su come avviene esattamente la raccolta dei dati né su come si procede allo stoccaggio.

Al momento, l'unica cosa certa è che il management della casa di Mountain View ha affermato che li conserverà "per non oltre due anni", il che non ne chiarisce affatto la destinazione finale anche se è lecito immaginare che trascorsi anche solo una dozzina di mesi dalla raccolta i dati stessi comincino a perdere via via interesse e attualità.

Quel che deve però aver convinto Articolo 29 ad avviare l'indagine, deve essere stato in particolare una delle ultime acquisizioni realizzate dall'ex motore di ricerca. Ha acquistato infatti una partecipazione minoritaria del valore di circa 4 milioni di dollari in un'azienda di cui è azionista di riferimento la nuova compagna di Sergey Brin, uno dei co-fondatori di Google.

Fin qui nulla di strano; ma il caso vuole che l'azienda in questione -la 23andMe- abbia per oggetto la bioingegneria e incoraggi le persone a far decifrare il proprio patrimonio genetico per puntare a un miglior effetto terapeutico o in genere a personalizzare indagini e cure mediche. Ma non solo.

In USA come in alcune nazioni europee, per poche centinaia di euro si può in definitiva ottenere una vera e propria carta d'identità genetica buona a tutti gli usi. Nulla vieta di ipotizzare in futuro un facile quanto nascosto accoppiamento tra il profilo genetico di una persona e il suo profilo "digitale", ricavato dall'incrocio dei dati anagrafici e personali con i siti che frequenta abitualmente.

Per qualcuno l'ipotesi è fantascientifica e comunque eticamente inaccettabile; e su quest'ultimo punto sono tutti d'accordo. Un po' meno condivisibile è l'incredula futuribilità dell'evento, e per due buoni motivi. Il primo è che il divenire è comunque un evento futuro e incerto e non è detto che i dati non utilizzati da Google non possano essere utilizzati da altri e in modo imprevedibile; vale infatti anche in questo caso la prima legge di Murphy.

Il secondo motivo si basa sull'osservazione di quanto accade tutti i giorni da parte di un'incredibile quantità di persone che continua a diffondere dati personali e indirizzi email in giro per il web, magari anche solo per ottenere l'accesso a una pagina o a un servizio che poi di rivela fasullo o non usufruibile, senza darsi neppur pensiero di ciò che succede; ma i dati incautamente regalati restano, eccome.

Basta pesare spamming, virus e phishing in circolazione, che marcano un incremento esponenziale via via che l'uso dell'internet si diffonde nel mondo. Ben venga quindi un controllo sia preventivo che successivo sulla produzione e lo stoccaggio dei dati, perché non è detto che l'arricchimento dei minerali radioattivi si riveli alla lunga più pericoloso della concentrazione dei dati personali e sensibili quando finiscano in mani sbagliate.

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