I comandi impartiti alla ''casa intelligente'' rientrano nella libertà di espressione concessa dal Primo Emendamento. Anche in caso di omicidio.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-02-2017]
Qualcuno ricorderà che all'inizio dell'anno l'assistente personale di Amazon, Alexa, sembrava essere diventato all'improvviso il testimone chiave in un caso di omicidio.
La casa nella quale il fatto era avvenuto era infatti una smart house: in altre parole, era dotata di tutta una serie di dispositivi elettronici connessi a Internet e, in parte, in grado di ricevere comandi vocali. Come Amazon Echo, per l'appunto, che mette in contatto con il servizio Alexa.
La possibilità che sui server di Amazon ci fossero registrate informazioni importanti per venire a capo del delitto non era sfuggita alla polizia, che aveva chiesto al gigante dell'e-commerce di consegnare le registrazioni e le trascrizioni di quanto la vittima e Alexa s'erano detti.
Amazon ha tentennato un po', quindi ha opposto un netto rifiuto: l'azienda afferma che quelle informazioni sono protette dal Primo Emendamento alla Costituzione statunitense, quello che protegge la libertà di espressione.
Secondo Amazon, la polizia non ha fornito prove sufficienti a dimostrare che sia necessario consegnare le registrazioni, in quanto non è dimostrato che il loro contenuto sia legato all'omicidio.
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Quanto al collegamento con il Primo Emendamento, Amazon spiega che esso copre il diritto di formulare richieste e ricevere informazioni senza che il governo ne possa chiedere conto. Inoltre anche le risposte di Alexa sarebbero protette dallo stesso Primo Emendamento, in quanto costituirebbero «opinioni protette dalla Costituzione» come definito in un caso precedente relativo all'assistente personale di Google.
La polizia non può nemmeno far leva sul fatto che le registrazioni non sono disponibili da alcun'altra parte, poiché Amazon sostiene che se gli agenti sono in possesso dello smartphone della vittima possono anche accedere all'app di Alexa e da lì ricavare tutto ciò che vogliono.
Il problema è che lo smartphone in questione, un Nexus 6P, è crittografato e la polizia non può accedere ai contenuti.
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