[ZEUS News - www.zeusnews.it - 08-04-2025]
Il crepitio dei tasti di un programmatore che scrive codice per comporre un programma è probabilmente uno dei suoni più caratteristici dell'informatica. Da decenni, saper programmare significa avere pieno potere, avere la facoltà di far fare quello che si vuole al computer o tablet o telefono che sia, poter creare app, senza dover dipendere da nessuno.
Ma quel potere richiede studio e impegno: bisogna imparare i linguaggi di programmazione, ciascuno con una sintassi e delle regole differenti, e per molte persone questo non è facile o è semplicemente impossibile. Programmare resta così un'arte praticata da pochi e ammirata a rispettosa distanza dai più.
Tutto questo, però, sta forse per cambiare improvvisamente. Se state pensando di diventare programmatori o sviluppatori, o se siete genitori e pensate che far studiare gli arcani incantesimi della programmazione sia la strada maestra per una carriera informatica garantita per i vostri figli, ci sono due parole che vi conviene conoscere: vibe coding.
Sono due parole che sono state abbinate per la prima volta solo due mesi fa e stanno già trasformando profondamente il modo in cui si crea il software. Non lo si scrive più tediosamente riga per riga, istruzione per istruzione, ma lo si descrive, in linguaggio naturale, semplicemente parlando. Le macchine fanno il resto. O almeno così sembra.
Questa è la storia, breve ma intensa, del vibe coding, di cosa significa esattamente, di chi ha coniato questo termine, e del perché tutti i grandi nomi dell'informatica stanno correndo per reinventarsi, per l'ennesima volta, inseguendo questo mantra.
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Abbandonarsi alle vibrazioni e programmare senza toccare la tastiera
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Homer S.