[ZEUS News - www.zeusnews.it - 30-05-2020]
Era già stata affrontata dalla Cassazione la questione dei "rider" che si occupano di consegne di cibo a domicilio e che inizialmente venivano considerati lavoratori autonomi.
La Suprema Corte li ha invece equiparati a lavoratori subordinati in quanto i tempi di lavoro e l'organizzazione sono decisi dal datore di lavoro, ossia dalla piattaforma online, e non c'è alcuna autonomia da parte del lavoratore.
Ora nella questione interviene anche il Tribunale di Milano, il quale però si occupa di una "classe" particolare di rider: quelli che lavorano per Uber Eats.
L'intervento arriva al termine di un'indagine a carico di Uber Italy, filiale italiana dell'azienda americana, alla quale è stata contestata l'accusa di caporalato o, per la precisione, di «intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro» (art. 603bis del Codice Penale) nella gestione dai fattorini che per lei lavorano.
La ricostruzione riportata dall'Ansa rivela le condizioni a cui i rider, che formalmente non lavoravano per Uber Italy ma per altre due società, erano costretti a operare.
«La mia paga era sempre di 3 euro a consegna indipendentemente dal giorno e dall'ora» ha raccontato uno dei fattorini, mentre uno degli indagati è arrivato a minacciare un rider che lo aveva definito «schiavista» dicendogli: «Ho solo minacciato di venirti a rompere la testa e lo ribadisco (...) ti vengo a prendere a sberle, ti rompo il...».
Il quadro complessivo che emerge mostra situazioni di sfruttamento, minacce, «sottrazione "legalizzata" delle mance» e «punizioni economiche» per i rider.
La conclusione dell'indagine ha portato quindi alla messa in amministrazione giudiziaria (o "commissariamento", come si usa dire) di Uber Italy.
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