Un caso di ransomware finito bene offre lezioni utili per tutti



[ZEUS News - www.zeusnews.it - 08-09-2020]

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Sembra una storia da romanzo cybercriminale poco originale: un giovane hacker russo offre un milione di dollari a un dipendente di una grande azienda americana affinché installi nei computer dell'azienda un malware che gli permetta di rubare dati compromettenti con i quali ricattarla.

Ma il dipendente rifiuta il milione di dollari e avvisa di nascosto l'Fbi, che interviene prontamente, fa indossare una microspia al dipendente durante gli incontri con il criminale e poi lo arresta mentre sta cercando di fuggire. Tutto è bene quel che finisce bene.

Secondo i documenti pubblicati dal Dipartimento di Giustizia statunitense, però, a luglio scorso è andata proprio così, ed è emerso che l'azienda in questione è Tesla, specificamente la sua Gigafactory in Nevada, come confermato da Elon Musk in persona.

I dettagli appunto romanzeschi della vicenda sono stati raccontati bene da siti specializzati come Teslarati e Technology Review, per cui mi concentro sugli aspetti informatici della questione, perché offrono spunti e lezioni utili a qualunque azienda.

Prima di tutto, dai documenti legali risulta che il criminale, in combutta con altri, ha scelto con cura il proprio bersaglio all'interno dell'azienda, prendendo contatto con un dipendente che parlava russo, non era cittadino statunitense ed era in grado di acquisire informazioni tecniche dettagliate sull'infrastruttura informatica dell'azienda.

La profilazione dei dipendenti e la ricognizione dell'organigramma aziendale, facilitata da siti di ricerca e offerta di lavoro come Monster e LinkedIn, fanno parte dei metodi classici del crimine informatico organizzato. E le forti difese informatiche aziendali sarebbero state scavalcate usando una talpa interna: è il cosiddetto insider threat. Le barriere informatiche servono a poco se c'è un dipendente infedele.

Il secondo aspetto importante è la tecnica di estorsione. Il criminale avrebbe fornito al dipendente di Tesla un apposito malware da introdurre nei sistemi informatici dell'azienda. Una volta introdotto, il criminale e i suoi soci avrebbero lanciato dall'esterno un attacco Ddos (distributed denial of service) contro l'azienda, per tenere impegnati gli addetti alla sicurezza informatica mentre il malware estraeva dati dai computer di Tesla. I criminali avrebbero poi ricattato l'azienda per vari milioni di dollari.

Avrete notato che manca qualcosa in questa tecnica: la cifratura dei dati da parte dei criminali. Di solito il ransomware classico entra nei computer dell'azienda bersaglio e blocca i dati aziendali con una password complicatissima, e i criminali chiedono soldi per dare password di sblocco. In questo caso, invece, i malviventi ritenevano di poter ricattare Tesla per il semplice fatto di aver acquisito una copia dei dati. Forse speravano di mettere le mani su segreti aziendali per i quali Tesla avrebbe pagato pur di non farli trapelare.

La lezione importante, quindi, è che oggi non basta più avere un backup offline dal quale ripristinare i dati di lavoro cifrati dall'attacco: bisogna anche fare in modo che i dati confidenziali o potenzialmente dannosi se divulgati non vengano mai raggiunti dai criminali. In uno scenario del genere, la prevenzione è tutto, e la pronta reazione dei dipendenti è un tassello fondamentale di questa prevenzione.

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Per consentire questa reazione, gli esperti consigliano di predisporre in azienda un referente unico per la sicurezza informatica, raggiungibile immediatamente da tutto il personale per telefono o via mail.

È inoltre importante fare un inventario preciso dei propri dati e distinguere quelli che hanno semplicemente bisogno di essere ripristinabili in caso di attacco informatico (contabilità e archivio clienti/fornitori, per esempio) da quelli la cui fuga sarebbe un danno grave per l'azienda (segreti industriali, progetti, prototipi e contratti, per esempio).

Da parte mia consiglio anche di aggiungere una lauta ricompensa per chi è talmente leale da rinunciare a un milione di dollari e rischiare la propria incolumità incontrando criminali mentre indossa una microspia.

Fonti aggiuntive: Naked Security; ClearanceJobs.

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Paolo Attivissimo

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Commenti all'articolo (5)

Da quanto si può interpretare dall'articolo direi che non necessariamente il dipendente in questione era a conoscenza di particolari segreti, infatti avrebbe solo dovuto introdurre un malware nella rete aziendale e, se il malware in questione era ben congegnato, probabilmente poteva farlo da qualsiasi PC collegato alla rete. Leggi tutto
15-11-2020 19:07

Avrebbe messo in pericolo la sua famiglia (se ce l'ha) anche facendo il gioco dei criminali informatici. Un'azienda del genere, potrebbe avere gli strumenti per arrivare a lui in un attimo, a malefatta compiuta. Certe cose o le fai bene, cercando di prevedere tutte le azioni e reazioni della parte danneggiata o non fai nulla. Leggi tutto
9-9-2020 11:48

Si e no. Non tutti i dipendenti valgono allo stesso modo. Penso che questo valesse parecchio, di solito i comuni dipendenti non sono a conoscenza di segreti aziendali. Leggi tutto
9-9-2020 11:41

{gao}
Mi trovo d'accordo con gran parte dell'articolo, ovviamente più che ragionevole, tuttavia penso che questo dipendente sia una eccezione, più che una regola, con quello che ne segue. Questa persona, consciamente o no, ha messo se stessa, insieme alla sua famiglia, in un grave pericolo per eventuali ritorsioni... Leggi tutto
8-9-2020 15:31

{BitWarrior}
Tutto molto interessante, sulla lauta ricompensa avrei invece molti dubbi, nel modello economico attuale, per le aziende i soldi dati ai dipendenti sono soldi buttati che possono essere investiti molto meglio in qualcos'altro... La stessa cosa avviene in molte piccole aziende in Italia oggi con il covid. Molti titolari cercano di... Leggi tutto
8-9-2020 14:47

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