Un gruppo di giovani precari licenziati da Comdata scrive ai media e alle istituzioni per richiamare l'attenzione sul loro dramma.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 26-06-2009]
Questa è la lettera che un gruppo di precari licenziati da Comdata ha inviato a media e istituzioni. Comdata è una delle maggiori aziende italiane di call center che lavora per Telecom Italia, Wind, Enigas e altre grandi imprese.
Siamo un gruppo di lavoratori e di lavoratrici della sede torinese della Comdata SpA, tutti con contratti a tempo determinato e con scadenze che vanno dalla metà di maggio alla metà di luglio. Ci troviamo costretti a scrivere ai mezzi di informazione e alle istituzioni per far conoscere la nostra situazione e aprire uno squarcio di luce sull'utilizzo della precarietà nelle aziende della cosiddetta "new economy", anche nei periodi di crisi.Comdata SpA è una grande azienda specializzata in attività di Customer Care, Contact Center Inbound e Outbound, Help Desk multilingue, Servizi di supporto alla gestione del cliente, Analisi e sviluppo di progetti e soluzioni di gestione documentale e CRM, archiviazione ottica e cartacea. Impiega ufficialmente 5800 dipendenti, il 90% dei quali in 16 call centers, fra i quali più di 500 persone nella sede di Torino.
Comdata SpA si presenta, attraverso il suo sito web, come "un partner affidabile e vicino alle vostre esigenze... Scoprite la nostra filosofia per dare valore al vostro business... Una realtà di successi, grandi progetti, opportunità concrete"... Opportunità concrete sicuramente non ce ne sono per i suoi dipendenti. Infatti, nonostante i 300 milioni di fatturato dell'anno scorso, le acquisizioni di un ramo d'azienda di Vodafone (914 operatori nel 2007), il controllo e l'acquisizione di altre 10 aziende del gruppo, una ricapitalizzazione da 12 milioni e mezzo di euro fatta ad inizio anno, le prospettive di stabilizzazione occupazionale sono un miraggio. Invitandovi ad osservare quanto sta avvenendo nelle sedi di La Spezia, Asti, Scarmagno, Ivrea, Milano, Olbia (con ricorso massiccio alla cassa integrazione, ferie forzate e sedi a rischio chiusura), vi possiamo solo dire che, al dicembre 2008, su un totale di circa 600 dipendenti nella sede di Torino, poco meno della metà era a tempo determinato, in spregio a quanto stabiliscono la Costituzione, la legge 368/01, il CCNL e un accordo interno del 2007 che stabiliva un rapporto in percentuale fra indeterminati e determinati prima 60/40 e poi negli anni successivi, 80/20.Ora siamo giunti alla scadenza dei nostri contratti a termine e abbiamo pensato di prendere la parola. Finora non lo abbiamo quasi mai fatto per quella maledetta, comprensibile, paura di essere additati come "rompiscatole" e quindi nella speranza che il nostro "silenzio" ci permettesse di continuare a lavorare in questa azienda. Purtroppo, visto che nessuno parla di noi, e nessuno parla con noi (neanche le organizzazioni sindacali e le RSU), non ci resta altro da fare che comunicare quello che pensiamo.
Abbiamo la certezza non solo dei nostri futuri licenziamenti, ma anche di essere stati raggirati. Abbiamo il sospetto che, stante quello che abbiamo scritto sopra (e che è tranquillamente verificabile nel sito dell'azienda e alla Camera di Commercio), l'intenzione dell'azienda sia mandare a casa i precari, mettere in cassa integrazione i colleghi a tempo indeterminato, sfruttare i finanziamenti dello Stato (che paga la cassa) e diversificare gli investimenti in qualche settore più redditizio e con costi del lavoro più bassi. Con un impatto drammatico nella regione Piemonte, dove la crisi economica già morde da mesi e dove ritrovare un lavoro in questo momento è quasi impossibile.
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