Non servono nuove norme. Occorrono invece più infrastrutture e una cultura aziendale moderna.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 06-02-2016]
In questi giorni si fa un gran parlare del decreto legge con cui il Governo vuole regolamentare ed incentivare lo smart working.
È l'evoluzione del telelavoro: un modo agile di prestare la propria opera, con la possibilità di lavorare fuori dalla sede lavorativa e perfino a casa durante l'orario di lavoro, grazie alle tecnologie telematiche.
In realtà già oggi non esiste alcuna preclusione legale o assicurativa alla possibilità, per il lavoratore, di svolgere il proprio lavoro da casa, in una sede lavorativa diversa da quella formale ed abituale, in movimento su mezzi di trasporto pubblici e privati, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga sempre, solo per alcuni giorni oppure per alcune ore.
La copertura Inail è infatti sempre valida, mentre gli aspetti relativi al controllo della presenza, della produttività e delle spese a carico del lavoratore possono essere regolati tramite accordi sindacali aziendali o perfino con contratti individuali. Ciò, in effetti, spesso già avviene.
I motivi principali per cui lo smart working fatica a prendere piede in Italia sono legati principalmente alla debolezza in termini di diffusione, affidabilità e velocità delle reti di telecomunicazione fisse e mobili.
Solo ora la banda larga, fissa e mobile, comincia a essere diffusa, e comunque soltanto limitatamente alle zone più abitate. Nelle aree periferiche e in quelle non urbane, ossia proprio laddove sarebbe più conveniente lo smart working, è invece ancora carente.
A questi motivi tecnologici si sommano i deficit attuali di cultura organizzativa delle imprese, che ancora oggi privilegiano la presenza fisica e il controllo fisico e visivo del personale.
Si deve dunque investire in modo sostanzioso su reti e cultura organizzativa, mentre gli aspetti formali e giuridici richiedono davvero poca attenzione.
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