Battuto lo Stato italiano.
[ZEUS News - www.zeusnews.it - 23-12-2025]

La Corte di Cassazione ha emesso una sentenza definitiva in merito alla lunga disputa legale tra TIM e la Presidenza del Consiglio dei Ministri riguardante la restituzione del canone di concessione versato per l'anno 1998. Con l'ordinanza depositata, i giudici hanno respinto il ricorso presentato dall'Avvocatura dello Stato, confermando quanto già stabilito dalla Corte d'Appello di Roma nell'aprile del 2024. La decisione sancisce l'obbligo per lo Stato italiano di rimborsare alla compagnia di telecomunicazioni una somma che, comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria, ammonta a circa un miliardo di euro.
La vicenda affonda le sue radici nel periodo della liberalizzazione del mercato delle telecomunicazioni in Italia, avvenuta formalmente nel 1997. Nonostante l'apertura alla concorrenza, lo Stato impose a Telecom Italia (oggi TIM) il pagamento del canone di concessione anche per l'esercizio 1998, basandosi sulla normativa nazionale allora vigente. La società contestò immediatamente la legittimità di tale prelievo, sostenendo che fosse in netto contrasto con le direttive comunitarie che miravano a eliminare gli oneri finanziari ingiustificati che potessero ostacolare il nuovo mercato libero.
Il nucleo giuridico della contesa riguarda la Direttiva europea 97/13/CE, la quale stabiliva che, a partire dal 1 gennaio 1998, gli Stati membri non potessero più imporre tasse di concessione supplementari alle aziende di telecomunicazioni, se non per coprire i costi amministrativi strettamente necessari alla gestione delle licenze. La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, intervenuta più volte sulla materia nel corso degli anni, aveva già chiarito che il mantenimento di tali canoni nazionali dopo la liberalizzazione rappresentava una violazione del diritto comunitario, spingendo la giustizia italiana a conformarsi a tale interpretazione.
Dal punto di vista economico, la cifra originaria richiesta da TIM era pari a circa 529 milioni di euro, corrispondenti al valore nominale del canone versato ventisette anni fa. Tuttavia la durata eccezionale del contenzioso ha fatto sì che il montante crescesse progressivamente a causa della rivalutazione monetaria e degli interessi legali maturati nel corso di quasi tre decenni. La sentenza d'appello del 2024 aveva già quantificato il debito dello Stato in circa un miliardo di euro, cifra ora blindata dal verdetto della Cassazione.
Attraverso il ricorso in Cassazione, la Presidenza del Consiglio aveva tentato di impugnare la decisione precedente sollevando eccezioni procedurali e interpretative sulla natura del canone e sulla decorrenza dei termini di prescrizione. Gli avvocati dello Stato sostenevano che l'applicazione delle direttive europee non dovesse comportare una restituzione automatica e integrale di quanto versato. I giudici della Suprema Corte hanno però ritenuto infondate queste motivazioni, confermando che il diritto al rimborso di TIM è sorto nel momento stesso in cui la norma nazionale è stata dichiarata incompatibile con quella europea.
Per TIM l'esito di questa battaglia legale rappresenta un passaggio fondamentale per la stabilizzazione dei propri assetti finanziari. L'operatore ha annunciato in una nota ufficiale che i proventi derivanti dalla sentenza avranno un impatto positivo diretto sull'indebitamento. In un mercato caratterizzato da forti investimenti nell'infrastruttura di rete e dalla recente separazione tra le attività di servizio e la rete fissa (NetCo), l'iniezione di liquidità derivante dal rimborso statale offre una maggiore flessibilità operativa nel breve e medio periodo.
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